Nel centro di Tirana, a pochi metri dal palazzo del Primo Ministro c’è uno spazio verde che ha ospitato per una settimana un presidio permanente di circa 200 minatori.
Vengono tutti dalla miniera di Bulquiza, la principale dell’Albania, dove lavorano oltre 700 persone che spingendosi fino a 800 metri sotto terra estraggono il cromo, un minerale la cui esportazione costituisce una voce importante della ricchezza del paese.
Le ragioni della protesta iniziata a Bulquiza ormai 3 settimane fa, ed in seguito approdata nella capitale, sono semplici: richiesta di salari in linea con quelli del comparto, mantenimento degli impegni presi al termine di una vertenza precedente in tema di sicurezza, adeguata politica di investimenti sulle strutture (risalenti ai tempi del regime comunista) che ne garantiscano la produttività nel tempo.
La storia della miniera di Bulqiza è una storia iniziata oltre 60 anni fa, quando furono trovati i primi giacimenti di cromo e ne fu avviato lo sfruttamento. Giacimenti che si rilevarono così ricchi da far sì che negli anni 80 l’Albania risultava essere il terzo paese esportatore di cromo al mondo anche grazie ai depositi di Bulquiza.
E tuttavia le varie proprietà succedutesi nel tempo non hanno mai avuto troppo a cuore la sicurezza dei minatori, tanto che la sequenza di morti sul lavoro è impressionante, né hanno pensato ad investire sulle infrastrutture necessarie a mantenere l’impianto funzionale, condizione indispensabile per migliorare le condizioni di lavoro e garantire continuità di produzione.
E poi le condizioni economiche: i minatori di Bulquiza percepiscono salari mediamente inferiori del 30% rispetto a quelli dei minatori impegnati in altre miniere del paese.
In un sistema di relazioni industriali moderno ed europeo, di fronte all’ insoddisfazione dei lavoratori ed a così gravi carenze, i responsabili della proprietà chiamerebbero i rappresentanti dei lavoratori per confrontarsi attorno ad un tavolo ed arrivare ad un accordo. E l’ALBANIAN CHROME Sh.p.k., società proprietaria della miniera, è una sussidiaria della DCM DECOmetal GmbH, una società austriaca che dovrebbe avere dimestichezza con l’argomento.
In un sistema di relazioni industriali moderno ed europeo, inoltre, i ministeri competenti farebbero il possibile per favorire una composizione pacifica della vertenza. Non è il caso dell’Albania, nonostante il paese abbia chiesto ormai da tempo di entrare nell’Unione Europea ed abbia ratificato le principali Convenzioni dell’OIL – l’Organizzazione Internazionale del Lavoro sui diritti dei lavoratori.
Oggi i minatori di Bulqiza vivono giorno e notte all’aperto, a due passi dal Primo Ministro, sostenuti nella loro rivendicazione dalla KSSH – la Confederazione dei Sindacati d’Albania, con cui la CISL intrattiene rapporti di cooperazione internazionale da circa 10 anni. E proprio per dar forza alla protesta e testimoniare vicinanza ai minatori, due rappresentanti della CISL Marche hanno condiviso per quattro giorni la loro lotta a Tirana. Ma il tempo passa e nulla di rilevante accade al punto che i minatori hanno deciso – se non otterranno risultati significativi nei prossimi giorni – di scendere in miniera a 800 metri sotto la terra per dar vita ad uno sciopero della fame sino all’accoglimento delle loro richieste.
La CISL sostiene la lotta dei minatori di Bulqiza e si adopererà presso le sedi competenti europee per una positiva soluzione della vertenza.
Venerdì si è svolto un incontro con una rappresentante dell’Unione Europea, che ha garantito il necessario appoggio. I minatori hanno deciso di abbandonare il presidio a Tirana e tornare a Bulqiza ed occupare la miniera, impedendo l’accesso.
Se necessario, i minatori sono pronti ad iniziare lo sciopero della fame.