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  • Mar 11, 2024
  • 4 minutes

Pubblichiamo la terza di quattro interviste di Matteo Finco e Alessandro Andrenacci sul tema della mobilità umana e giustizia globale.
Intervista a Fabio Baggio: sacerdote della Congregazione dei Missionari di San Carlo, direttore dello Sclabrini Migration Center, Manila, Filippine. Professore alla “Pontificia Universitas Urbaniana”Roma, Italia e Professore alla Mayhill School of Thology, Manila, Filippine
Cercando di focalizzare l’attenzione sul sud-est asiatico, come vengono gestiti i flussi migratori?
Il sistema che vige nei paesi del sud-est asiatico prevede politiche che mirano a programmi temporanei di lavoro. I migranti sono lavoratori che rimangono nei paesi tre, quattro, al massimo 5 anni: la loro permanenza è legata ad un contratto, al termine del quale devono ritornare nel proprio paese. Ma quando si parla di figure altamente professionali, che possono contribuire al panorama culturale, e allo sviluppo del paese allora il trattamento è diverso: si aprono corridoi preferenziali.
Al contrario, per quelli che occupano posti non qualificati e svolgono lavori poco apprezzati,  viene attivata una mobilità-fluidità migratoria che deve durare qualche anno. A loro non sono riservate possibilità di inserimento, di integrazione, non c’è ricongiungimento familiare, non c’è riconoscimento di tutti i diritti.
Oltre ciò parlando di discriminazione è importante tenere da conto la struttura delle società delle nazioni del sud-est asiatico: le classi sociali sono molto contraddistinte, quindi il fatto di appartenere ad un élite è già di per sé un privilegio. Io riguardo a queste politiche avrei delle forti riserve perché trovo che sia una grave violazione dei diritti umani trattare le persone in modo diverso tenendo conto solo delle loro capacità professionali.
Confrontando i paesi industrializzati del sud-est asiatico con quelli europei, in merito alla violazione dei diritti umani si possono riscontrare delle similitudini?
Devo dire che quando ero a Manila ho ricevuto parecchie visite di rappresentanti sindacali e di associazioni di imprenditori europei i quali erano interessati a copiare il modello di gestione dei flussi migratori del sud-est asiatico. Considerando l’importanza del rispetto dei diritti umani che caratterizza il pensiero “europeo”, mi ha al quanto sorpreso che si venisse a copiare un modello che dal mio punto di vista è al quanto falsato. Quando ho sentito e ho letto i proclami fatti sulla  blu card (che prevede per i lavoratori extraeuropei altamente qualificati delle agevolazioni) ho pensato che si volesse riproporre il modello vigente negli ultimi 10 anni nel sud-est asiatico cercando di giustificare questa palese violazione di tutti i diritti. Tutto ciò rischia di far passare il messaggio di considerare più pericolosi i migranti che svolgono i lavori di “manovalanza”; di conseguenza si tende a dare più libertà di movimento e un riconoscimento più ampio possibile di diritti ai lavoratori altamente qualificati.
Ci spiega brevemente il progetto MAPID?
[MAPID: Migrant’s Associations and Philipine Institutions for Development, realizzato dallo Scalabrini Migration Center di Manila, la Commission on Filipinos Overseas, l’università di Valencia e la Fondazione ISMU di Milano, nell’ambito del programma comunitario Aeneas.]
Le Filippine sono il paese del sud-est asiatico di maggiore esportazione di manodopera verso tutto il mondo perciò tutti vengono a copiare questo modello. Ci siamo accorti che negli ultimi 40 anni i cambiamenti economici e sociali interni alle Filippine riguardano solo una determinata classe sociale, mentre la maggior parte della popolazione sembra ferma se non peggiorata. La nostra proposta, come centro studi, è stata quella di capire quali erano i problemi e quali le possibile strade da percorrere. Il progetto MAPID si propone come una ricerca volta alla semplificazione delle dinamiche che non stanno funzionando nei processi migratori: abbiamo scelto Italia e Spagna come aree di ricerca, perché i nostri partners sono qui e perché i fondi sono europei. Nel primo anno ci siamo concentrati sulla ricerca cercando di capire quali sono le lacune, quali falle ha questo sistema dotato di una grande potenzialità: 17 miliardi di dollari di rimesse, una quantità incalcolabile di skills, di nuove competenze che vengono acquisite all’estero e mai riversate nelle Filippine. Si parla di grandi capitali investiti dai migranti che comunque non sembrano cambiare una realtà filippina che, nonostante i problemi di popolamento, dovrebbe comunque svilupparsi. Noi abbiamo pensato di concentrare i nostri sforzi sullo studio dell’apporto filantropico e sugli investimenti provenienti dall’estero fatti da emigrati filippini in collaborazione con le associazioni presenti sul territorio, nel nostro caso in Italia e in Spagna, che vogliono impegnarsi in progetti di sviluppo nelle Filippine. Abbiamo fatto una mappatura delle associazioni, le abbiamo preparate e stiamo capacitando i quadri in modo che loro siano agenti di sviluppo nel proprio paese attingendo ai fondi non propri ma messi a disposizione dai paesi ricettori. E’ importante capire perché i flussi migratori non vanno di pari passo con uno sviluppo interno. Questo fa in modo che i nuovi progetti si possano esprimere nella loro completezza e i beneficiari possano essere tutta la popolazione in modo omogeneo. Ad una analisi più attenta si è potuto constatare che le ingenti somme di denaro che rientrano in termini di rimesse, vengono reinvestite nell’istruzione privata, a maneggio di pochi o a favore di gente che risponde ad una determinata fede; gli investimenti privati vengono fatti in strutture (come centri commerciali) di proprietà delle solite famiglie. Nell’ultimo anno è stato appurato che il gap e la disuguaglianza sociale sono aumentate: i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.

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Gli ultimi dati del governo indicano che il numero di persone direttamente colpite dall’alluvione sono 17,2 milioni, su un’area che si estende dal confine cinese fino alla foce del fiume Indo. Il bilancio delle vittime è salito leggermente a 1.542, con 2.327 feriti accertati. Un totale di 1,2 milioni di case sono state danneggiati o distrutti (tutte le cifre provengono dalle autorità provinciali e nazionali di gestione dell’emergenza).

Altre città e villaggi nel distretto di Qamber Shahdadkot nel Sindh sono stati inondati il 24 agosto. Le immagini satellitari del 23 agosto hanno mostrato le acque alluvionali crescente avanzare entro 1,3 km dalla città di Shahdadkot, che continua ad essere sotto diretta minaccia di inondazioni. Un gran numero di persone sono ancora bloccate dalle acque nei distretti di Jaffarabad e Nasirabad nel Balochistan, dove le operazioni di soccorso sono in corso. Le autorità di Jaffarabad hanno annunciato che il bilancio delle vittime nel distretto è salito a 50.

L’onda di piena continua a passare attraverso lo sbarramento di Kotri nel sud del Sindh, e diverse zone di bassa altitudine dei distretti di Hyderabad, Jamshoro, Dadu e Thatta hanno segnalato di essere sotto l’acqua. Esodi su larga scala hanno avuto luogo da queste zone verso posti più sicuri, fra cui Karachi. Il Dipartimento Meteorologico ha riferito il 25 agosto che il livello delle acque a Kotri resterebbe “eccezionalmente elevato” per le prossime 24 ore, con ulteriori inondazioni previste nelle aree circostanti. Con una stima di 800.000 persone in Sindh ora nei campi di soccorso e in insediamenti spontanei, le autorità provinciali hanno chiesto sostegno all’UNHCR attivando il coordinamento e la gestione dei campi. Continua la lettura sul sito di ISCOS

  • 11 Marzo 2024
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segnaliamo da Fortress Europe La foto è di Ainara Makalilo. Su Rebelion potete vedere gli altri suoi scatti e leggere la preziosa analisi di Alma Allende, in spagnolo. L’ha scattata martedì nella piazza della kasbah di Tunisi, dove da ormai cinque giorni, ventiquattr’ore su ventiquattro, i giovani delle regioni più povere del paese presidiano la sede del governo per chiedere le dimissioni degli uomini vicini al regime del deposto di Ben Ali, supportati da scioperi e manifestazioni in tutto il paese. Nella foto si vede un manifesto appeso al muro della sede del primo ministro, su cui c’è scritto in italiano: “No voi andare Italia in barca“. È un messaggio per la nostra ipocrita Europa, che ama riempirsi la bocca di retorica sui diritti umani, ma che per 23 anni ha appoggiato uno stato di polizia che ha represso ogni forma di libertà in questo paese, in nome della lotta al terrorismo. I ragazzi oggi in piazza sono gli stessi che fino all’anno scorso prendevano il largo per Lampedusa. Ed è lo stesso il loro coraggio. Quello di chi rischia la vita in mare o sfida i fucili dei cecchini del regime nelle proteste di piazza con uno stesso rivoluzionario obiettivo: cambiare il proprio destino. Un concetto che evidentemente sfugge a un reazionario come il vicesindaco di Milano, che nelle rivolte del sud del Mediterraneo legge soltanto il pericolo di un’invasione di ladri e accattoni. […] Continua a leggere su Fortress Europe

  • 11 Marzo 2024
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