Una delegazione delle varie associazioni che compongono “Terra Futura” (Cisl, Azione Cattolica Italiana, Acli, Masci, Campagna per la riforma della Banca Mondiale, Banca Popolare Etica, Fondazione culturale responsabilità etica, Cgm, Goel, Libera, Altro mercato, Legambiente, Arci) ha incontrato, in vista del G/8 di L’Aquila, il Ministro dell’Economia, Giulio Tremonti a cui è stato illustrato il manifesto “Riformiamo la finanza per una economia civile e solidale”. Alla riunione, presso il Ministero dell’Economia, era presente anche il Segretario Generale della Cisl, Raffaele Bonanni.
Dall’incontro è emersa la disponibilità espressa dal Ministro Tremonti ad impostare, sin dal vertice del G/8 di L’Aquila, un percorso di confronto a tappe con tutte le organizzazioni che compongono il cartello di “Terra Futura”. In particolare, è stato programmato il contributo di Terra Futura al dibattito, coordinato dall’Ocse al G/8 di L’Aquila , sul tema del “Global legal standard”.
In autunno il confronto proseguirà attraverso un convegno pubblico, organizzato dalle associazioni di Terra Futura, a cui parteciperà lo stesso Ministro dell’Economia, Tremonti, in vista di una verifica delle proposte che saranno discusse nel prossimo G/20 di Pittsburg.
Il manifesto di Terra Futura è articolato in quattro capitoli: riforma dei mercati finanziari, fiscalità, legalità, sostenibilità e rappresenta la sintesi del confronto fra tutte le organizzazioni che danno vita al cartello. Esso delinea le linee di una economia e di una finanza alternative alla matrice culturale che ha scatenato la crisi, a partire da una Governance globale, una nuova Bretton Woods, dotata di istituzioni democratiche , di poteri, di procedure sanzionatorie. Fra le proposte di Terra Futura: istituire una autorità sovranazionale di regolazione dei mercati finanziari, inserire un tetto alle forme di incentivazione alla vendita di prodotti finanziari per tutti gli operatori del settore credito e della finanza, introdurre una tassa sulle transazioni e sui volumi scambiati sulle valute e sui derivati, destinando gli introiti ad obiettivi umanitari, reintrodurre l’obbligo di esercizio dell’azione penale per il reato di falso in bilancio, introdurre un tetto sui compensi del manager.
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Negli ultimi due anni i media hanno registrato trecentodicianove casi di violenza razzista in Italia e le aggressioni sono in continuo aumento. Centodiciannove nel 2007, centoventiquattro nel 2008 e nei primi quattro mesi 2009 si contano già settantasei atti di violenza. Numeri che riguardano persone reali. Una ricostruzione solo parziale, la punta dell’iceberg si potrebbe definire, di un fenomeno in costante crescita. Cronache di ordinaria intolleranza documentate nel “Libro bianco sul razzismo in Italia” curato dall’associazione Lunaria. «É un lavoro collettivo-spiega il presidente di Lunaria Gulio Marcon -uno strumento utile a gruppi e associazioni per capire e arginare un fenomeno montante», quello del razzismo. Un tentativo di decostruzione dei pregiudizi e degli stereotipi comuni nell’opinione pubblica e nel discorso dei media attraverso l’analisi di otto casi esemplari: dal pogrom di Ponticelli alla strage di Erba, dalla violenza subita da Navtej Singh a Nettuno sino al caso dello stupro della Caffarella.
I curatori del Libro bianco fanno una premessa: l’Italia non è un paese razzista, ma è innegabile che esistano preoccupanti fenomeni di razzismo. Nel paese sembra essere in atto un processo di legittimazione culturale, politica e sociale del razzismo che vede protagonisti gli attori pubblici e istituzionali. E, in un Europa che sembra sempre più pervasa da pulsioni xenofobe, il caso italiano appare ancora più inquietante. L’opinione pubblica internazionale e le istituzioni europee guardano con sempre maggiore preoccupazione al caso Italia. E il rapporto di Lunaria è aggiornato all’aprile 2009, quando ancora l’Europa non aveva visto l’Italia all’opera nel lavoro di respingimento degli immigrati e nella diatriba con Malta su chi dovesse ospitare i migranti alla deriva sul cargo Pinar. Preoccupa tuttavia la saldatura avvenuta tra razzismo istituzionale, xenofobia popolare e stigmatizzazione mediatica dello straniero.
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Segnaliamo un interessante articolo da Osservatorio Balcani di Majola Rukaj
La mancata ammissione alla lista bianca di Schengen fa aumentare in Albania la convinzione di essere cittadini di serie B e fa di Bruxelles una meta ancora lontana. Il dibattito in Albania a seguito della recente proposta sui visti della Commissione europea.
L’Albania rimane nella lista nera, e diversamente da quanto previsto, il 1 gennaio del prossimo anno non rappresenterà un momento storico d’avvicinamento del paese balcanico allo spazio Schengen. La notizia ha colto l’attenzione dei media e della politica albanese, tanto da fare passare in secondo piano l’atmosfera tesa post-elettorale mentre lo spoglio, a un mese dalle votazioni, non è ancora stato concluso del tutto.
La mancata promozione dell’Albania nella lista bianca – come avvenuto del resto anche per Kosovo e Bosnia – è stata ampiamente interpretata da politici, politologi e giornalisti albanesi all’insegna della frustrazione e della percezione che nonostante il progresso la situazione dell’Albania pare agli occhi di Bruxelles di gran lunga peggiore rispetto ai suoi vicini balcanici.
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