Segnaliamo da Misna:
Si chiama “nayda” la “movida” marocchina; un nome che in darija, il dialetto arabo parlato nel paese del Maghreb, significa “alzatevi”, “svegliatevi” oppure “c’è qualcosa che si sta muovendo?” Ad ascoltare le parole dei rapper marocchini – dai ‘Fnair’ agli Hoba Hoba Spirit o al pioniere del genere Don Bigg – che evocano a gran voce il loro rifiuto della politica, della corruzione, delle contraddizioni della società e invitano a prendere in mano il proprio destino, sembra che qualcosa si stia ‘muovendo’ in Marocco, dove la scorsa settimana si sono svolti i festeggiamenti per i 10 anni dell’ascesa al trono di re Mohammed VI.
Gli osservatori sottolineano come in questi anni la “nayda” si sia manifestata con uno slancio libertario delle produzioni culturali, dalla musica al cinema, dalla grafica alla moda, a testimonianza di una libertà di linguaggio prima sconosciuta. La lingua utilizzata dagli artisti si propone come una miscela di dialetto locale, di francese e di inglese, uniti a ritmi musicali del patrimonio nazionale (berbero) e internazionale. Secondo i ricercatori dell’Istituto nazionale delle lingue e civiltà orientali (Inalco), la “nayda” ha molte implicazioni: l’accettazione del pluralismo, l’indipendenza intellettuale, il passaggio dallo status di soggetto a quello di cittadino, la riconciliazione con il passato. Gli studiosi spiegano che “il movimento è nato dopo le elezioni legislative del 2002 e gli attentati terroristici di Casablanca (Maggio 2003), in un periodo chiave nella storia recente del paese, durante il quale sono emersi lo stupore e l’esasperazione di tanti giovani decisi a cambiare il loro paese dall’interno”. Sono poi seguite la liberalizzazione della stampa e delle frequenze radio, con le emittenti che dal 2006 hanno cominciato a trasmettere nuove creazioni musicali della “nayda”. Se molti artisti marocchini salutano questa rinascita culturale, altri sottolineano che si tratta di un movimento esclusivamente urbano e temono che sia strumentalizzato sia dalla politica che dal mercato, in termini di propaganda e di immagine.
Se le recenti dinamiche culturali, sociali e politiche hanno portato l’Unione Europea (UE) a riconoscere al Marocco uno statuto speciale di “paese avanzato”, il primo attribuito ad un paese della regione, un rapporto di ‘Reporter senza frontiere’ (Rsf) traccia un bilancio controverso dei 10 anni di regno di Mohammed VI dal punto di vista della libertà di stampa, con molti giornalisti incarcerati e costretti a pagare multe salate; dopo alcuni passi in avanti nei primi anni, che hanno portato a un ‘boom’ di testate ed emittenti, dal 2002 si segnala un irrigidimento nei confronti del mondo della stampa, con leggi severe o addirittura restrittive. Se solo l’un per cento della popolazione compra un giornale, la radio e la televisione sono più accessibili, benché sia ancora il governo ad autorizzare le licenze. L’ultimo protagonista è internet: sono circa sei milioni i marocchini (su una popolazione stimata in 31 milioni) che si collegano al web. L’utente di un noto sito di “social network” straniero è stato condannato a tre anni di carcere – una “prima” mondiale – per aver finto di essere il Principe Moulay Rachid; in seguito a una mobilitazione planetaria del ‘popolo di internet’, è stato liberato dopo 42 giorni e graziato dal re.