(di Luciana Borsatti) (ANSAmed) – ROMA, 26 OTT – Le donne sono solo il 22% della popolazione occupata nell’area Mena (Medio Oriente e Nord Africa), e il 27% in media in Egitto, Giordania, Libia, Marocco e Tunisia. Le quote piu’ basse a livello mondiale, dove il massimo impiego femminile si registra nell’area Estremo Oriente- Pacifico (il 70%) e dove l’area sub-sahariana presenta, grazie all’agricoltura, la stessa percentuale dell’Unione Europea (64%, contro il 46% dell’Italia). Parte da queste cifre – basate su dati di Ocse, Banca Mondiale, Unhcr e Ilo – uno studio sui Diritti economici della donna in Egitto, Giordania, Libia, Marocco e Tunisia che la consulente Ocse Serena Romano ha presentato a Roma, nell’ambito del soggiorno di sette imprenditrici libiche organizzato dalla associazione Pari o Dispare con il sostegno del Mae e dell’Eni. Epppure, osserva la consulente, un aumento dell’occupazione e dell’imprenditorialita’ femminile potrebbe far crescere in modo significativo il Pil dei Paesi meno sviluppati. Lo ha rilevato solo pochi giorni fa l’Economist, in un’interessante proiezione di quanto accadrebbe in Egitto se, entro il 2020, l’impiego delle donne (ora fermo al 24%) raggiungesse la stessa quota di quello dell’uomo: il Pil salirebbe del 34% – niente male per un’economia che ha risentito dei recenti rivolgimenti politici.
Eppure i cinque Paesi presi in esame garantiscono alla donna, sul piano normativo, tutti i diritti economici: dalla possibilita’ di avere un impiego, una proprieta’ o l’accesso al credito a quella di avviare un’ impresa. ”Il problema e’ che – osserva Serena Romano – il diritto di firmare un contratto mal si concilia con l’obbligo di obbedire al marito”.
Insomma, quanto riconosciuto dalle leggi dello Stato rischia di cozzare contro il diritto consuetudinario o lo statuto della persona come definito dalla religione, in particolare la legge islamica. In base alla quale, per esempio, una donna eredita dai genitori la meta’ del fratello, ha una potesta’ molto limitata sui figli e, se sposata, in Egitto e in Giordania puo’ avere un passaporto solo con l’accordo del marito.
E’ con limiti come questi che si scontra la reale possibilita’ per una donna di lavorare fuori casa o fare l’imprenditrice. Perche’, osserva ancora la consulente, e’ difficile avere un’azienda o un lavoro se non si puo’ viaggiare, dare la cittadinanza e l’accesso ai servizi pubblici ai figli in caso di soggiorno all’estero, discutere di affari o lavorare in fabbrica se non si puo’ uscire liberamente di casa o si deve rientrare prima di una certa ora. Diversa poi la situazione legislativa dei cinque Paesi su alcune questioni particolari come la parita’ di retribuzione con l’uomo (non formalmente assicurata in Tunisia), la non discriminazione sessuale (non garantita in Egitto e Giordania), la difesa dalle molestie sessuali sul lavoro (effettiva solo in Marocco), la possibilita’ di avviare iniziative giudiziarie (carente ancora in Egitto e Giordania).
Cortocircuiti e contraddizioni che si evidenziano anche in rapporto alla Cedaw, la Convenzione Onu per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne: ratificata da tutti i cinque Paesi in esame (come dall’Arabia Saudita, del resto) ma sempre con riserve (tranne nel caso del Marocco, ma solo dal 2011) legate alla statuto della persona e alla sharia. Insomma, sottolinea la studiosa, ”la legge consuetudinaria o la sharia spesso regolano le norme sullo statuto della persona, e possono cosi’ avere un impatto decisivo sui loro diritti economici e la possibilita’ di avere un’impresa o una carriera.
Ma l’eguaglianza puo’ solo essere una”.