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Mar 11, 2024

Non è vero che l’interesse individuale muove il mondo, non è vero che non c’è altro mondo possibile. La road map di Kaushik Basu “oltre la mano invisibile, per una società giusta” Di questi tempi, con l’Europa a testa in giù, c’è davvero bisogno di scrivere 369 pagine fitte fitte per dimostrare che il modello economico dominante è fallito? Kaushik Basu pensa di sì, e riempie pagine, librerie e conferenze come astro ormai affermato di quella galassia che è stata definita, con un po’ di ironia, degli economisti-guru. Gli economisti popolari, quelli come Krugman, Stiglitz, Sen, quelli che raccontano un’altra verità e finalmente possono gridarla ai quattro venti, ingaggiando anche epiche lotte accademiche contro la scuola di pensiero che tuttora domina università, centri di ricerca e cenacoli governativi. Nel raccontarla, spesso sono brillanti e anche spiritosi, non disdegnano il linguaggio semplice, strizzano l’occhio al coltissimo ma si fanno capire bene anche da chi si è tenuto sempre lontano dalle aule degli algoritmi dell’economia formalizzata. Così è Basu, economista indiano ben inserito nel mondo dell’ortodossia – docente alla Cornell University, senior vicepresident ed economista-capo della Banca mondiale -, autore di un libro eterodosso: Oltre la mano invisibile – ripensare l’economia per una società giusta. Un libro che dichiara nel titolo l’intento di “dimostrare che la scienza che ci ha donato Adam Smith si è fossilizzata in un’ideologia”. Per farlo, compie una dettagliata esplorazione e confutazione della teoria dominante, smantellando dall’interno l’individualismo metodologico che di tale teoria è base e cornice. Nella narrazione, intreccia continuamente logica, teoria economica, storielle popolari e letteratura (quanti sono gli economisti che citano Kafka?). Per arrivare infine a tre proposte concrete e un po’ eversive per affrontare quello che lui considera il problema economico n. 1: la povertà. Tra la povertà e certe idee sbagliate dell’economia c’è un nesso per Basu evidente. “La povertà che esiste oggi nel mondo ha dimensioni inaccettabili. Se il mondo non esplode contro questa ingiustizia è per via degli smisurati sforzi intellettuali profusi per farla apparire accettabile”. E gran parte di tali smisurati sforzi intellettuali ruota attorno all’originario teorema della mano invisibile: quello per cui la somma dei comportamenti singoli spinti dall’interesse egoistico dell’individuo porterà al benessere maggiore per la società nel suo insieme. Ne sono derivati, con costruzioni teoriche via via più sofisticate, varie conseguenze normative tutte tra loro coerenti: che l’iniziativa individuale va limitata e condizionata il meno possibile; che è il mercato a permettere la sistemazione più efficiente delle risorse; che bisognerebbe evitare di intromettersi nei mercati; e che questo è il migliore dei mondi possibili, non essendoci la prova di altri funzionamenti altrettanto perfetti. Se dunque, per avere un’economia efficiente, dobbiamo sopportare un certo grado di diseguaglianza e povertà, rassegniamoci: altre strade sarebbero peggiori, alcune hanno già dimostrato di esserlo. Senonché, esiste anche un’altra narrazione della mano invisibile. È quella del Processo di Kafka, quella che guida, da posizione occulta, le avventure di Joseph K. “Kafka concorda con Smith riguardo alle forze che possono essere scatenate dalle azioni individuali atomistiche, senza nessuna autorità centrale, ma – scrive Basu – allarga la nostra visione mostrandoci che possono essere non solo forze di efficienza, di organizzazione e di benevolenza, ma anche forze di oppressione e malevolenza”. E se la benevola mano invisibile di Smith può trasformarsi, passando dai modelli economici alla realtà, nella oppressiva mano invisibile di Kafka è perché quella teoria è difettosa, per tanti motivi che l’economista indiano va ad elencare, si può dire, “dall’interno”: confutando gli assiomi non dichiarati, rileggendo i teoremi e i nessi della teoria dei giochi, applicando all’estremo le stesse teorie e gli stessi modellini che contesta. Non è un libro facile, in questi passaggi. Ma il lettore viene condotto a scoprire, per varie strade, che “gli smisurati sforzi intellettuali” dell’economia hanno sistematicamente e dolosamente saltato un passaggio, un dettaglio, un dato della nostra realtà: siamo individui sociali, viviamo con altri, dentro una storia, e la rete delle nostre relazioni e costruzioni sociali determina il nostro comportamento tanto quanto la spinta ad avere la massima soddisfazione individuale possibile. “Ci sono prove a sufficienza, oltre che ragioni a priori, per credere che gli esseri umani siano capaci di non sfruttare ogni opportunità per il proprio guadagno personale”. E dunque ci sono “indizi a sufficienza per sostenere che una società migliore ed enormemente più equa è realizzabile”. viaRicchi e poveri, vecchie e nuove idee / alter / Sezioni / Home – Sbilanciamoci.

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Mar 11, 2024

Segnaliamo una ricerca di Attac sull’utilizzo degli aiuti di UE e FMI alla Grecia. “L’obiettivo delle elite politiche non è quello di salvare la popolazione greca ma il settore finanziario del paese. Centinaia di milioni di euro di risorse finanziarie pubbliche sono stati utilizzati per salvare le banche ed altri istituti finanziari dalla crisi finanziaria che loro stessi hanno causato”. La destinazione dei fondi alla Grecia documentato dalle ricerche di Attac si scontra pesantemente con l’interpretazione pubblica delle politiche europee di salvataggio del paese, distorta ad arte dalle elite politiche le quali hanno sostenuto fosse la popolazione greca a trarre vantaggio dai prestiti internazionali. È scandaloso, aggiunge Lisa Mittendrein, che la Commissione europea abbia pubblicato report da centinaia di pagine senza specificare dove finissero effettivamente questi soldi. Ad aver beneficiato dei fondi sono state banche come Eurobank Ergasias, posseduta dalla famiglia Latsis una delle più ricche del paese e speculatori come l’hedge fund Third Point, che hanno intascato 500 milioni di euro dal riacquisto del debito nel dicembre 2012. Come commenta Lisa Mittendrein, “la solidarietà con la Grecia espressa dal Presidente della commissione europea Barroso non si capisce verso chi sia stata”. Dei 43,6 miliardi (22,46%) destinati alle finanze pubbliche più di 34,6 miliardi sono stati pagati ai creditori sotto forma di interessi, senza considerare che 10,2 miliardi sono andati alle spese militari, sembra sotto pressione dei governi di Berlino e Parigi che avrebbero voluto proteggere gli interessi delle industrie militari nazionali. viaGli aiuti alla Grecia? Nelle tasche della finanza / capitali / Sezioni / Home – Sbilanciamoci.

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Mar 11, 2024

Gli Skidelsky vogliono indagare “sulle ragioni del fallimento della profezia di Keynes”, che, come noto, calcolava, nel saggio Prospettive economiche per i nostri nipoti, pubblicato nel 1930, che nel giro di cento anni, lo sviluppo tecnologico avrebbe consentito di raggiungere un livello di “abbondanza” tale da soddisfare le necessità di base (vitto, alloggio, vestiario, salute, istruzione…) impegnando ogni abitante della Terra a lavorare non più di tre ore al giorno.

Se pensiamo che spostando solo una quota parte delle spese militari (ad esempio) sarebbe possibile risolvere domani mattina il problema della fame e della sete del mondo, è evidente che l’errore di Keynes non sta nell’aver sopravalutato l’enorme aumento delle capacità produttive che si è davvero verificato dal secondo dopoguerra. Nemmeno la cattiva distribuzione dei frutti della produzione e della ricchezza è la ragione primaria della mancata realizzazione dell’utopia keynesiana (si pensi ai tragici fallimenti dei tentativi di pianificazione centralizzate). Il difetto deve essere ricercato ancora più in profondità, nel non aver capito che il sistema economico e sociale capitalista ha eretto a proprio fondamento la “disposizione psicologica all’insaziabilità” propria del “tipo umano medio”. Secondo i nostri autori: “Il capitalismo è un’arma a doppio taglio: da un lato ha reso possibili grandi miglioramenti delle condizioni materiali dell’esistenza, dall’altro ha esaltato alcune delle caratteristiche umane più deplorevoli, come l’avidità, l’invidia e l’avarizia” [p.10]. In altri termini: “un’economia competitiva monetizzata esercita su di noi continue pressioni a voler sempre di più” [p.23]. E ancora: “il capitalismo si fonda sulla inesauribile crescita dei bisogni” [p.94]. Nella nostra società non è possibile separare “bisogni assoluti” predeterminabili e “bisogni relativi” inesauribili. “I bisogni non conoscono limiti naturali, possono espandersi all’infinito almeno che non li conteniamo in maniera consapevole (…) La consapevolezza di avere quanto basta” [p.95]. Se le cose stanno così, allora è evidente che il raggiungimento dell’“età dell’abbondanza” pronosticata da Keynes verrà continuamente posticipata, travolta nel vortice della spirale produzione-consumo. Come uscirne? Tornando a chiederci “cosa vogliamo dalla vita”. Quali sono i requisiti oggettivi di una buona e comoda vita. Scopriremmo allora che non di merci da comprare al supermercato si tratta, ma di “beni primari fondamentali” non commercializzabili, non quantificabili in termini monetari. Gli Skidelski ne propongono sette: la salute, la sicurezza, il rispetto, l’amicizia (rapporti di fiducia e relazioni affettive), la personalità (la capacità di realizzare progetti di vita autonomi), l’armonia con la natura, il tempo libero (l’attività volontaria autogestita e condivisa).Come si vede si tratta di beni del corpo, della mente e delle relazioni, costitutivi dell’umano, che “non escludono l’altro, ma lo includono” (Luigi Lombardi Vallauri in La Società dei beni comuni, Ediesse, 2010). In definitiva, se vogliamo davvero realizzare il mondo della sufficienza immaginato da Keynes, dovremmo abbandonare il progetto di felicità che gli economisti hanno imposto e che si basa sulla creazione continua di “un surplus di piacere”, riscoprendo invece l’idea antica di “eudaimonia”, una condizione esistenziale che introietta la nozione di sazietà, il senso del limite, la necessità della condivisione e quindi della giustizia sociale. viaLa fine dell’età dell’abbondanza / globi / Sezioni / Home – Sbilanciamoci.

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Mar 11, 2024

Che fine hanno fatto le decine di migliaia di giovani che, poco piu’ di due anni fa, scendendo in piazza e sfidando anche a costo della vita la repressione, costrinsero Zine el Abidine Ben Ali a fuggire dalla Tunisia, dopo un regime ultraventennale? Di certo, dopo avere ottenuto la cacciata del dittatore, i ragazzi di avenue Bourghiba non hanno proseguito nella loro attivita’ politica, anzi si sono sempre di piu’ allontanati dai partiti e dalle logiche che li caratterizzano. A sottolineare questo distacco e’ il risultato di un sondaggio, realizzato dall’Osservatorio nazionale della gioventu’ insieme al Forum delle scienze sociali applicate, secondo il quale solo il 2,7 per cento dei giovani tunisini appartiene ad un partito, mentre l’81,4 per cento non ha delle preferenze verso formazioni politiche, Un quadro che si commenta da solo perche’, insieme, certifica che i giovani partecipano direttamente alla vita politica aderendo ad un partito solo in una microscopica percentuale, mentre la maggior parte di loro non si sente in sintonia con alcun partito, entrando quindi in uno stato di totale disaffezione nei confronti di chi dovrebbe rappresentare, nelle massime istanze del Paese, il popolo e le sue esigenze. L’apparente distanza dei giovani rispetto alla galassia politica e’ certificato anche da come essi si pongono nei confronti della ”rivoluzione” e degli obiettivi che il movimento anti-Ben Ali si era posti. C’e’ chi (33,6%) pensa che gli obiettivi della rivoluzione si stiano raggiungendo, ma con troppa lentezza, mentre per la maggioranza dei ragazzi intervistati (65,1%) essi non sono stati invece ottenuti. Con il risultato evidente che tutti i giovani guardano con rimpianto alle prospettive ed ai traguardi, anche minimi, che la rivoluzione si era prefissi e che oggi appaiono ancora troppo lontani dal divenire una realta’. Ma il distacco dei giovani tunisini dalla vita reale del Paese e’ confermato da un altro dato, che riguarda il tasso di partecipazione all’azione civile e che interessa appena il 6,1 per cento di loro. Cosa che lascia pensare che i ragazzi di Tunisia non solo non hanno alcuna fiducia nei partiti, ma non intendono neanche impegnarsi direttamente nel sociale, quasi a volere marcare una distanza che non ha possibilita’ d’essere colmata. Un diverso appeal hanno invece le associazioni caritatevoli, cui da’ il suo contributo il 29% dei ragazzi tunisini. viaTunisia: giovani tunisini, politica? No, grazie – Tunisia – ANSAMed.it.

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Mar 11, 2024

Un recente studio dell’Organizzazione Mondiale del Lavoro (OIL),  ‘Resilience in a downturn: The power of financial cooperatives’ha dimostrato che le cooperative finanziarie si sono comportate meglio delle banche tradizionali possedute dagli investitori prima, durante e dopo la crisi finanziaria globale del 2007-2008. Secondo Guy Ryder, Direttore Generale OIL le cooperative hanno continuato a far circolare il credito verso le piccole e medie imprese, le principali fonti di creazione di posti di lavoro.

Il tasso di sopravvivenza delle cooperative in molti paesi sembra uguale o maggiore delle aziende tradizionali. Sorpassano anche la prova nel fornire servizi sociali ai soci, mentre quelle di consumo aiutano a contenere il costo della vita. Alla base ci sono la vicinanza ai soci, l’orientamento ai servizi piuttosto che all’arricchimento dei manager, la democrazia e la sicurezza dei soci a lungo termine. via  IPP media.

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Mar 11, 2024

Luigi Lama, esperto formatore CISL, ha tenuto un corso a Rabat, il 26 – 27 – 28 giugno 2013. L’idea nasce da una riflessione partecipativa tra ISCOS Marche, FDT (Fédération Démocratique du Travail) e la UGTM (Union Générale des Travailleurs du Maroc) che ha fatto emergere la necessità di un confronto con la realtà italiana, sulla gestione e sulla comunicazione interna di un sindacato. Per rispondere alle richieste dei nostri colleghi marocchini, ISCOS ha coinvolto un esperto formatore CISL, Luigi Lama, che ha condiviso con i partecipanti della FDT e della UGTM l’esperienza italiana e li ha portati a riflettere sulla struttura sindacale e sulla sua organizzazione interna.

Obiettivi

ISCOS si è posto come obiettivo di socializzare le conoscenze e le esperienze, stimolando un momento di apertura, di confronto e di fiducia sulla tematica della gestione interna del sindacato per individuare le possibili vie di sviluppo ed implementazione dei propri sistemi.

Metodologia

L’atelier si è svolto utilizzando la metodologia del focus group. In ognuno dei tre giorni a disposizione, la prima parte di ogni giornata è stata dedicata all’approfondimento della tematica presente nel programma, condotta da Luigi Lama che ha sapientemente presentato l’esperienza italiana nella sua globalità storica, sociale e culturale. Nella seconda parte della giornata i partecipanti venivano divisi in gruppi da 4/5 persone, tramite l’estrazione casuale dei nomi. In tal modo si è potuta garantire un’eterogeneità che ha dato risultati significativi. Ogni gruppo ha potuto riflettere sulle informazioni ricevute durante il giorno, confrontandosi sulle differenze e le affinità esistenti. Successivamente i risultati sono stati presentati al resto dei partecipanti ed è stato dato spazio ad un dibattito in plenaria.

Contenuti

I giorno: Cos’è il sindacato. Caratteri originali dell’organizzazione sindacale; Storia ed esperienza CISL II giorno: Organizzazione del Sindacato: elementi di teoria sulla struttura e meccanismi di funzionamento; Rapporto tra le Federazioni e le Confederazioni ai vari livelli III giorno: Il ruolo e le politiche della CISL a livello decentrato; Il sistema di finanziamento della CISL; La presenza del Sindacato nei luoghi di lavoro (contrattazione e affiliazione) ed il sistema di servizi agli iscritti e ai non iscritti Partecipanti: 22 persone (FDT e UGTM)

Animatori:

Luigi Lama: esperto CISL Miriam Ivone: rappresentante ISCOS in Marocco Valentina Arnò: Traduttrice Amahdar Abdelilah: Traduttore Atelier sullo scambio di esperienze L’atelier sullo scambio di esperienza ha visto la presenza di 2 sindacati marocchini, FDT (Fédération Démocratique du Travail) e la UGTM (Union Générale des Travailleurs du Maroc) che hanno selezionato dirigenti nazionali e regionali dei propri sindacati per partecipare all’evento. La partecipazione è stata piuttosto costante lungo i 3 giorni di incontro, e la componente femminile è stata importante, sfiorando il 50% della presenza. Il coinvolgimento dei partecipanti si è manifestato subito grazie all’alto interesse dimostrato. Il momento del focus group è stato estremamente interessante perché gli appartenenti all’uno e all’altro sindacato hanno avuto l’occasione di confrontarsi in maniera costruttiva e talvolta animatamente, mettendo in evidenza le loro differenze e condividendo le difficoltà di ognuno. Nonostante la FDT e la UGTM abbiano posizioni politicamente opposte, sono entrambi il risultato di una scissione da un altro sindacato ed entrambi hanno un alto interesse a lavorare insieme e condividere momenti di riflessione. Il primo giorno hanno individuato le differenze e le affinità tra il sindacalismo in Italia e in Marocco, sottolineando i seguenti punti:
Italia Marocco
nascita 1906 1955
contesto della nascita rivoluzione industriale protettorato francese
periodo nero fascismo protettorato francese
lotta sociale esiste e funziona conflitti tra manifestanti e stati
relazione con partiti autonomia politica relazione politica
affiliazione elevata meno del 10%
risorse finanziarie proveniente dagli affiliati proveniente da affiliati + stato
statuto esistente in attesa di applicazione della legge
Un punto su cui si è soffermata la discussione è l’effettività  degli accordi, ovvero il concreto ottenere i benefici legali e materiali concordati fra le parti. Un problema che si manifesta, pur in forme diverse, in entrambi i paesi. Accordi sottoscritti vengono disattesi dichiarando che sono insostenibili, che sono emerse difficoltà  impreviste, che i tempi vanno allungati oppure vanno ridimensionati i benefici. Tutto ciò logora molto più la credibilità  del sindacato rispetto a quella delle controparti datoriali e governative, portando alla convinzione che il sindacato non serve o, peggio, serve solo per dare una giustificazione ai privilegi dei sindacalisti. Elemento comune è la debolezza delle forme di mobilitazione e di lotta tradizionali, come lo sciopero, in un contesto di crisi, globalizzazione e dispersione dei lavoratori in unità produttive piccole. Il secondo giorno si è assistito ad un dibattito molto acceso (ovvero vivace, non c’era ostilità) e costruttivo tra gli esponenti dei due sindacati. Costoro hanno analizzato i motivi che hanno prodotto le scissioni dando vita a nuovi sindacati e condiviso alcune problematiche interne. In particolare i meccanismi di formazione della leadership ed i rischi della sua degenerazione. Una dirigente della FDT ha espresso pubblicamente una critica al proprio Segretario generale presente in sala, sostenendo che era molto competente nel suo lavoro ma che doveva favorire il ricambio tanto auspicato e lasciare la sua posizione ad una donna.  In effetti la quota riservata alle donne è del 20% ma dal prossimo Congresso la FDT punta al 50% ed a porre un limite ai mandati. A partire da questa criticità, altri  hanno evidenziato la mancanza di trasparenza  e di comunicazione all’interno del sindacato. Hanno inoltre segnalato una mancanza di visione strategica per il futuro a causa dell’individualismo, dell’incapacità di gestire i conflitti, della scarsa o mancata  motivazione e democrazia. Hanno pertanto proposto  un maggior rispetto per la donna, un approccio mirato all’integrazione dei giovani e alla creazione di cellule indipendenti per cercare di risolvere i conflitti interni. Il terzo giorno ha rappresentato un’occasione d’introspezione, di riflessione e di analisi sul sindacato d’appartenenza. Interessante evidenziare che i partecipanti hanno concordato che l’analisi interna va fatta periodicamente perché quanto vale oggi può essere diverso in una fase successiva.   La valutazione dei partecipanti al corso è stata positiva. Essi sono rimasti particolarmente colpiti dall’autonomia economica dei sindacati italiani e hanno fatto richiesta di continuare su questa linea di formazione per comprendere ancor più in profondità il modello organizzativo interno ed eventualmente godere di un appoggio tecnico da parte del sindacato italiano. A questo proposito si è  anche ipotizzato un viaggio in Italia da parte di una piccola delegazione dei 2 sindacati e successivamente realizzare altri momenti di  formazione in Marocco sulle tecniche di gestione degli affiliati. [gallery ids="3203,3204,3205,3206,3207,3208,3209,3210,3211,3212,3213"] A partire dal marzo 2012, l’ISCOS ha aperto una propria sede in Marocco, con l’obiettivo di affiancare e sostenere le più importanti e rappresentative organizzazioni sindacali e della società civile nel loro sforzo teso ad affermare i diritti civili, sindacali, economici, sociali e culturali nel paese. Partecipano a questo progetto gli ISCOS regionali di Marche, Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna: il ruolo di capofila e coordinamento è affidato all’ISCOS Marche Questa attività si sviluppa nel quadro del progetto “Rafforzamento del ruolo e dell’azione dei Sindacati marocchini e delle Organizzazioni della società civile nella promozione e tutela dei diritti umani, del lavoro, delle donne e dei minori” reso possibile grazie al finanziamento delle regioni: Marche, Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Sicilia.

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