• Mar 11, 2024
  • 2 minutes

(Rti.fr)
C’est une première dans le monde arabe. Pendant deux jours, des centaines de militants venus du Maghreb, mais aussi de Jordanie et du Liban, se sont rencontrés à Rabat pour débattre de la possible abolition de la peine de mort. Car à l’heure actuelle, aucun pays arabe n’a encore aboli la peine capitale. Un congrès organisé par l’ONG Ensemble contre la peine de mort, en partenariat avec l’Organisation marocaine des droits humains (OMDH) et la Coalition mondiale et marocaine contre la peine de mort.
Des avocats, des militants mais aussi des théologiens venus du Maroc, du Liban et de Jordanie ont répondu présent à ce premier congrès. L’idée : braquer les projecteurs sur la question de l’abolition de la peine de mort. Une question difficile dans les pays musulmans où la peine capitale est inscrite dans le Coran. Première étape donc, ouvrir le débat comme l’explique Rafaël Chemizazan président de l’ONG Ensemble contre la peine de mort (ECPM)
« Le fait qu’ils se rencontrent c’est de s’apercevoir qu’ils ne sont pas seuls. Ce sont des militants qui sont dans des pays difficiles, comme en Irak ou au Yémen, et où il faut en débattre. Et en débattre publiquement, ouvertement, et en particulier avec les vecteurs de la société civile, que sont les associations, les journalistes, les universitaires, mais aussi les élites politiques ».
L’espoir serait que le Maroc montre l’exemple. Des associations marocaines militent pour l’abolition de la peine de mort depuis plusieurs années. Et la nouvelle Constitution dans son article 20 affirme la primauté du droit à la vie.
Mais le chemin est encore long. La peine de mort est toujours prononcée dans le royaume, même si aucune n’a été exécutée depuis près de 20 ans.

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By Simon Martelli (AFP) – 1 day ago CASABLANCA, Morocco — Morocco is seeing an alarming rise in the number of babies abandoned by single mothers, activists said on Saturday, blaming social prejudice and outdated legislation for the problem. “According to the information we have gathered, from people who take care of abandoned children born outside marriage, the numbers are getting much worse,” said Omar Kindi, organiser of a conference on violence and discrimination against single mothers and children. The existing statistics were bad enough. According to a study carried out by Insaf, an NGO that supports women and children in distress, of which Kindi is the president, 27,200 young women gave birth outside marriage in 2009, with a total of 8,760 babies abandoned. That equates to 24 babies per day on average. Morocco has witnessed a population boom and rapid urbanisation in recent decades, leading to ever-growing levels of interaction between single men and women in the relatively conservative Muslim country. Kindi and other activists argue that attitudes and legislation have failed to keep pace with social change, as starkly illustrated by Article 490 of the penal code according to which extra-marital sex is punishable by up to a year in jail. Doctors in public maternity hospitals may refuse to treat pregnant young women who are not married, Kindi said, even if they are victims of rape by their employers. “One of the major problems… is the total disengagement of the state,” Kindi told AFP. Aicha Echanne, another speaker at the Casablanca conference, said the “mentality of society” and the lack of support for single mothers, who are often aggressively treated by officials, were driving factors behind new-born children being abandoned. “We need to shake Moroccan society, and to put pressure on the state, on parliament, to bring about change,” said Echanne, who heads the Association of Women’s Solidarity. “From 1990 to 2009, 23,000 babies were buried in cemeteries in Casablanca (Morocco’s largest city). That gives you an idea that our children are being thrown away. They get eaten by dogs or are buried.” “It is not normal, from a humanitarian point of view, to accept this type of thing,” she added. As well as changing the law, activists emphasise the need for sexual education in Morocco to avoid unwanted pregnancy, with more than 60 percent of single mothers under 26 years old, according to Insaf, and many of them illiterate. But with an Islamist-led government in power since January, some are doubtful about the prospects of any such initiatives. Kindi says Insaf, which is based in Casablanca and employs 34 people, used to receive 10 percent of its budget from state funds, but that the new government has stopped supporting it together. “We have asked to talk to the minister of social affairs (Bassima Hakkawi). But we still haven’t received a response from her,” he added. Hakkawi could not immediately be reached for comment.

  • 11 Marzo 2024
  • 2 minutes
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(Radiovativana.va) La vita umana di chi è povero e perseguitato non vale nulla. E’ su questo assurdo criterio che si basa il traffico di schiavi e organi umani che si svolge nel Sinai, con radici in Eritrea e importanti riferimenti in Sudan. Da ieri, un nuovo importante tassello si aggiunge nella lotta che diverse Ong conducono da anni a sostegno di migliaia di giovani rapiti e uccisi sotto gli occhi indifferenti del mondo. Ne parla Roberto Malini, presidente del “Gruppo EveryOne”, al microfono di Gabriella Ceraso: R. – Noi abbiamo avuto, grazie a dei difensori dei diritti umani locali, una serie di nomi – undici nomi – di basisti, molti dei quali purtroppo di nazionalità eritrea, che sono nel campo profughi di Shegherab in Sudan, dove si ritrovano migliaia di eritrei. Questi basisti conoscono bene le tradizioni e le abitudini degli eritrei e lavorano proprio all’interno di locali nel campo: partecipano alle operazioni di convincimento, rivolte ai ragazzi eritrei e di altre nazionalità, che desiderano spostarsi con il sogno di raggiungere Israele. Oppure, addirittura, partecipano ad azioni di rapimento. Abbiamo fatto i loro nomi, li abbiamo trasmessi al governo del Sudan, alle Nazioni Unite, al Consiglio d’Europa, alle grandi organizzazioni che hanno la possibilità di intervenire. Quanto meno speriamo che la popolazione del campo venga a conoscenza dei nomi di queste persone e che queste possano così sentire una certa pressione esercitata sul loro lavoro criminale. D. – Non è la prima volta che avete o che fornite liste, eppure nessuno si muove. L’immobilismo politico è ancora il problema fondamentale? R. – Sicuramente. Abbiamo ormai i nomi sostanzialmente di tutti i trafficanti del Sinai e abbiamo avuto qualche intervento, ma assolutamente insoddisfacente rispetto alle aspettative. Però, la grossa responsabilità di quello che accade è in Eritrea. Abbiamo sentito testimonianze di figure legate al traffico che sono poi nomi grossissimi delle forze armate eritree. Questo traffico, che parte dagli “intoccabili” eritrei, si muove poi con gli “intoccabili” del Sudan, dove c’è corruzione ovunque, e prosegue in Egitto. Ecco, il vero problema è la corruzione a tutti i livelli: è questo che ci spaventa molto. Ed è questa, poi, la grande battaglia umanitaria da combattere. Il miglioramento è che ora il mondo lo sa e che esiste una rete reale, che ha attivisti anche sul posto, e che è in grado veramente di risolvere alcuni casi e di fornire le nuove dinamiche di questo traffico. E questo è molto importante. Nonostante tutto ciò, i numeri sono ancora altissimi: i milioni di dollari che girano in questo enorme traffico sono veramente tanti, e quindi c’è tantissimo da fare e a livello numerico i risultati non sono assolutamente soddisfacenti. Diciamo che forse il traffico di esseri umani si è ridotto di un 10 per cento, e quindi la speranza è questa: che da questi primi risultati virtuosi si possa arrivare ad una presa di posizione più coraggiosa da parte delle istituzioni e quindi ad una vera azione globale contro il traffico. In quel caso, pensiamo che in questo momento – poiché sappiamo tutti come sono i trafficanti, come si svolge il traffico – perché non ci sono più misteri, sarebbe abbastanza fattibile l’idea di smantellarlo.

  • 11 Marzo 2024
  • 2 minutes

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