Ecco le foto e alcuni interventi dell’iniziativa del 7 marzo scorso
Per introdurre l’incontro di questa sera prenderò in prestito le parole che il sottosegretario del nuovo Ministero alle Migrazioni e dei tunisini all’estero, Ms Omeyya Seddik, ha utilizzato rivolgendosi al Governo Monti:
“Vogliamo intraprendere con l’Italia nuovi rapporti in tema di migrazioni e di cooperazione basati sui diritti di tutti: Partiamo dai migranti dispersi di marzo”.
Un vero stato democratico, dice Ms Omeyya, è uno stato capace di proteggere la vita e i diritti di tutti i suoi cittadini, ovunque essi si trovino, in patria e all’estero. E’ questo uno dei principi che ha animato la rivoluzione tunisina che ha dato il vita alle cosiddette Primavere arabe.
La Tunisia è un paese di emigrazione, più del 10% della sua popolazione vive all’estero; ma oggi è anche diventato un paese di immigrazione e di transito. Ecco perché non può più permettersi di non avere una politica indipendente, democratica ed equilibrata sulle migrazioni, né delle strategie coerenti per metterla in pratica. In effetti una politica indipendente non può essere dettata da pressioni subite in certi ambiti a scapito dell’interesse nazionale. Una politica democratica è quella che si elabora attraverso una concertazione tra istituzioni legittime e che tenga conto delle aspirazioni dei cittadini. E una politica delle migrazioni che si possa definire equilibrata è quella che non ignora gli interessi né dei paesi di accoglienza né di quelli di origine, né gli interessi dei migrati stessi. La nuova Tunisia punta sul fatto che una politica di questo tipo non solo è possibile, ma necessaria ed inevitabile.
L’Italia, con la Francia, è uno dei primi due partner economici della Tunisia ed uno dei due paesi più importanti per l’emigrazione tunisina. I comuni interessi tra Italia e Tunisia, siano essi legati alla produzione e agli investimenti, al turismo, all’energia, alla vicinanza geografica e o culturale o alle affinità storiche plurimillenarie non hanno bisogno di prove. Nonostante questo, la storia condivisa degli ultimi decenni è stata caratterizzata da rapporti che non possono essere definiti equilibrati, e da avvenimenti e drammi che non sono degni di due paesi che si dicono democratici. Questi eventi sono attribuibili a delle politiche irresponsabili attuate da dirigenti il cui principale interesse è stato il mantenimento di un potere anti-popolare e anti-democratico da parte tunisina, e la ricerca di risultati elettorali e populisti di breve termine da parte italiana.
Lo spettacolo indegno di cui è stata teatro l’isola di Lampedusa, suo malgrado, i problemi emersi nei vari Centri di Identificazione e di espulsione disseminati sul territorio italiano, le tragedie che hanno fatto del Canale di Sicilia un enorme cimitero ed infine le condizioni di vita di numerosi migranti nelle città e nelle campagne italiane, sono la dimostrazione più impressionante di questa deriva.
A partire da queste considerazioni Ms Omeyya propone al Governo italiano di intraprendere una nuova fase finalizzata alla costruzione di un prototipo di rapporti virtuosi sulle migrazioni, dei rapporti cioè basati sul rispetto, sul riconoscimento degli interessi reciproci e sulla difesa dei diritti di tutti. In questo senso il sottosegretario del nuovo Ministero alle Migrazioni e dei tunisini all’estero ha giudicato positivamente la posizione del Ministro italiano alla Cooperazione ed all’Integrazione, Andrea Riccardi, capace di guardare con un atteggiamento nuovo di realismo e di coraggio al tema delle migrazioni. Ms Omeyya ha concluso richiamando la necessità e l’urgenza di far luce sulla sorte di migliaia di giovani tunisini, egiziani e libici, che durante le insurrezioni in quei paesi hanno preso il mare alla ricerca della libertà e di condizioni di vita più dignitose e che sono scomparsi nel nulla. Molti sono morti, inghiottiti dal Mare nostrum; molti altri sono dispersi.
Le loro famiglie, i loro amici li aspettano: è un loro diritto poterli rivedere e riabbracciare o poterli piangere sapendoli certamente morti. Il nostro incontro di questa sera intende dare un contributo alla richiesta legittima di queste famiglie ed alla costruzione di nuovi rapporti più giusti e vantaggiosi tra l’Italia e la Tunisia.
Anche io saluto e ringrazio a nome dell’ISCOS Marche tutte le persone che hanno raccolto il nostro invito ad essere qui presenti questa sera, ricordando che il nostro Istituto di Cooperazione internazionale è impegnato da circa 30 anni in attività e progetti di sostegno allo sviluppo e in aiuti d’emergenza alle popolazioni del Sud del mondo e che pertanto la Campagna “Da una sponda all’altra – vite che contano” non poteva lasciarci indifferenti.
Circa un anno fa il gesto estremo di Mohammed Bouazizi il giovane tunisino che si era dato fuoco per protesta ed era morto dopo tre settimane di atroce agonia, dava inizio alla cosiddetta Primavera Araba scatenando una serie di rivolte in Tunisia, e a seguire in Egitto, Libia, Siria e molti altri paesi arabi, che da lì a poco avrebbero provocato la caduta di molti dittatori al potere da decenni.
Il mondo intero fu affascinato da quella rivolta popolare che come un’onda sembrava propagarsi senza fine in un unico anelito di libertà.
Oggi, ad un anno di distanza, sembrano emergere soprattutto le contraddizioni.
“La primavera araba è ormai finita ma”, come affermano molti (come il sociologo Zymunt Bauman), “non si è ancora vista l’estate”. Non fa difetto a questo giudizio la Tunisia.
Il paese dopo la destituzione di Ben Ali, è entrato in una specie di anno zero, con vendette private velate da motivazioni politiche, ben 531 scioperi in un anno (secondo il governo di Tunisi), l’industria del turismo – la maggiore fonte di introiti – in caduta libera (-50%), un aumento vertiginoso della disoccupazione, la fuga in massa delle imprese, solo per fare qualche esempio.
Finalmente il 23 ottobre scorso la Tunisia ha affrontato le sue prime libere elezioni per nominare l’Assemblea che avrà il compito di scrivere la nuova Costituzione e formare il governo ad interim che guiderà il paese sino al 2013. Questi i numeri dell’e elezioni 110 partiti, 11mila candidati, 7,5 milioni di elettori. Ha vinto, secondo le previsioni, il partito d’ispirazione islamica Ennahda, che ha raccolto circa il 42% delle preferenze.
Queste elezioni che hanno rappresentato sicuramente un esempio di democrazia non hanno però risolto il dilemma tra chi guarda all’Europa ed alla modernità come modello di riferimento e teme uno stato teocratico, da quanti invece hanno in mente un modello d’islamismo moderato come quello di Erdogan in Turchia.
In una intervista rilasciata poco tempo ad un giornale italiano, Rashid al Gannouchi, leader di Ennahda ha tra l’altro dichiarato: “Ennahda riconosce il multipartitismo, la libertà d’espressione, le elezioni democratiche” – “Non c’è alcuna contraddizione tra Islam, democrazia e modernità” – “L’islam attinge i suoi valori dai testi sacri: ciò non toglie che qualsiasi legge debba passare attraverso il Parlamento” – “Siamo legati da accordi importanti con l’Europa e li vogliamo portare a livelli senza precedenti”.
All’Europa che teme la perdita della laicità della Tunisia, la sua trasformazione in uno stato teocratico e la mancata separazione tra potere civile e potere religioso, il leader di Ennahda risponde che si tratta di preoccupazioni infondate, che in Occidente spesso l’Islam è erroneamente identificato con il terrorismo e che Ennahda intende essere simile a quei partiti che in Italia ed altri paesi europei si ispirano al cristianesimo.
Basteranno queste dichiarazioni a tranquillizzare l’Europa, l’Italia e a porre le basi per la costruzioni di nuovi rapporti basati sulla collaborazione, sullo scambio, sul rispetto reciproco dove la Tunisia è finalmente considerata un paese libero ed indipendente e sono affermati i principi di democrazia, di libertà, di diritto?
Difficile crederlo quando accade, come qualche tempo fa, che l’Università di Manouba venga assediata da attivisti salafiti per protestare contro il divieto alle studentesse d’indossare il velo, che si organizzino ronde anti-peccatori come nella città di Sejnane, che Souad Abdessalum, unica donna capolista di Ennadha, svelata, che incantava i giornalisti occidentali per la sua visione progressista, ha inveito contro le madri nubili, definendole «una infamia», e che molti giovani si siano visti costretti a tornare in piazza a Tunisi al grido di “non rubateci la rivoluzione”. Solo per fare qualche esempio.
Di certo l’Europa non può limitarsi a guardare e a sottrarsi alle nuove responsabilità e alle sfide che la mutata situazione geo-politica del Maghreb e del Medio Oriente pone.
Essa è di fronte all’occasione unica di sanare le storiche ferite che la dividono dai Paesi arabi sostenendo le transizioni democratiche in atto, esprimendo una politica estera e di sicurezza al servizio della pace, della democrazia, della giustizia e della solidarietà a livello internazionale, definendo quindi una nuova strategia europea di vicinato per i paesi del Maghreb e Mashrek e di co-sviluppo equo per l’intera regione del Mediterraneo.
Tutto questo deve necessariamente includere la tutela dei diritti umani, civili, politici e sociali a partire dai migranti e dai richiedenti asilo.
Il vento di cambiamento che soffia sul Mediterraneo ci riguarda tutti e riguarda le nostre società e il loro futuro. Questo processo che sarà inevitabilmente lungo ed irto di ostacoli va aiutato soprattutto sostenendo le organizzazioni della società civile che possono e debbono essere protagoniste anche sul piano delle relazioni internazionali. Ognuno deve fare la sua parte.
In questo senso colgo l’occasione per comunicarvi che alla fine di marzo la CISL inaugurerà a Tunisi una sede per assistere i migranti tunisini negli aspetti relativi ai visti, ai permessi, ai rapporti con i datori di lavoro, alla formazione professionale, alle questioni previdenziali, etc, mentre l’ISCOS ha già allacciato rapporti con la UGTT – L’Unione Generale dei Lavoratori della Tunisia per individuare iniziative di cooperazione finalizzate a promuovere e rafforzare i diritti dei lavoratori.