Anche i diritti economici, sociali e culturali, tra i quali i diritti al cibo, alla casa, all’educazione o alla salute, sono divenuti oggetto di un meccanismo giuridico di garanzia internazionale.
I governi saranno quindi chiamati a rispondere per la loro eventuale mancanza o per la loro limitazione ai soli cittadini del proprio Stato: dovranno goderne anche coloro che si trovano sul territorio nazionale privi della cittadinanza siano essi turisti, lavoratori temporanei o immigrati; peraltro i vincoli di tutela dello Stato scavalcheranno anche i confini extraterritoriali, nel caso in cui i propri comportamenti possano danneggiare altri esseri umani all’estero si pensi ai danni ambientali.
Non mancano gli esempi di quanto, troppo spesso, i governi facciano promesse a vuoto e non adempiano ai loro obblighi internazionali in materia. Ad esempio, alcuni non intraprendono le misure necessarie per garantire un’eguaglianza sostanziale ai gruppi emarginati, specialmente a chi ha minori risorse economiche. Alcuni non riescono a prevenire, indagare e punire i responsabili di abusi dei diritti umani, specie nel settore ambientale o in quello occupazionale come si è visto nel tragico caso dell’Ilva di Taranto. Altri ancora violano deliberatamente i diritti delle persone, ad esempio quando le sgomberano forzatamente dalle loro abitazioni e le lasciano senza un alloggio adeguato, o ancora quando non assicurano il diritto al cibo alla popolazione.
Nel generale disinteresse della stampa e dell’opinione pubblica, da pochi giorni è caduto un tabù giuridico fondamentale del sistema internazionale di tutela dei diritti umani.
L’inserimento della mera programmazione dei diritti economici, sociali e culturali nelle agende dei governi dovrà lasciare il posto alla definizione delle risorse economiche, istituzionali, umane finalizzate a garantire il loro effettivo godimento.
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