Allarme per la Puglia, l’arsenale di Assad smaltito in Albania

Un articolo apparso il 9 novembre sul Corriere della Sera:
Un intero arsenale chimico, 290 tonnellate di armi e mille di gas non ancora installate in bombe e testate, la macchina di devastazione e morte di Bashar Assad, il presidente siriano che ha incendiato il Medio Oriente fino al punto di innescare una escalation militare a livello mondiale: a breve potrebbe tutto finire dall’altra parte dell’Adriatico, in Albania, ad appena settanta di chilometri dalla Puglia, lo spicchio di Balcani che sarebbe stato scelto per la smaltimento deciso nell’ambito di una serie di delicate trattative condotte per mesi sul filo del baratro bellico.
Per il momento non c’è ancora niente di certo, ma la notizia – come riportato da Il Sole 24Ore – è già trapelata sui media russi e potrebbe essere fondata. Tanto più che in passato, nel 2007 e 2008, l’Abania ha provveduto a distruggere le armi a iprite risalenti al regime di Enver Hoxa. E così, inevitabilmente, i timori legati al trasferimento e allo smaltimento di un intero arsenale chimico, si allungano sulla Puglia, l’Occidente più vicino, per decenni base operativa e avamposto prezioso per la cupola internazionale che lucrava e continua a lucrare con il contrabbando di sigarette, il traffico di armi e droga, l’esodo a pagamento organizzato per traghettare da una parte all’Adriatico l’umanità in fuga da miseria e guerra. Insomma, un intero sistema criminale fondato su quel tratto di mare su cui proprio recentemente è tornata ad affacciarsi l’ombra minacciosa degli scafisti.
viaAllarme per la Puglia, l’arsenale di Assad smaltito in Albania – Corriere del Mezzogiorno.

Commercio d’armi: l’Italia ratifica il Trattato Onu, storica firma degli Stati Uniti

Mercoledì 25 settembre 2013: l’Italia ratifica il trattato Onu sul commercio di armi. Siamo il quinto paese al mondo a firmarlo, e tra i primi dieci produttori di armi. L’articolo di Unimondo:
Con il voto favorevole unanime di ieri al Senato che ha fatto seguito a quello di due settimane fa alla Camera, l’Italia si appresta ad essere il quinto paese al mondo e il primo dell’Unione Europea che ratifica il Trattato internazionale sul commercio di armi (Arms Trade Treaty – qui il testo in inglese in .pdf). Soddisfazione delle realtà della società civile italiane che hanno promosso la mobilitazione internazionale Control Arms. “E’ un passo importante verso l’entrata in vigore del Trattato – che necessita 50 ratifiche – soprattutto per la rilevanza del nostro Paese nel commercio d’armamenti”, riporta il comunicato di Rete Disarmo. “E’ fondamentale che si colga questa ratifica e l’entrata in vigore del Trattato come primo passo verso un sempre maggiore controllo del commercio di armi. E’ importante che la nostra avanzata legislazione sull’export di armi sia rilanciata come esperienza positiva e utile nelle fasi di implementazione del Trattato dei prossimi anni” – evidenzia la nota.
 

Italia, ottavo esportatore mondiale di armi

Il ruolo dell’Italia nel commercio mondiale di armamenti non è certo paragonabile a quello di Stati Uniti e Russia, ma il nostro paese da diversi anni si attesta tra i primi dieci maggiori esportatori internazionali di sistemi militari. Lo si apprende analizzando attentamente i dati presenti nell’Arms Transfers Database, il database aggiornato annualmente dallo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), uno deglii istituti più autorevoli del settore.
Nel quinquennio dal 2008 al 2012 con oltre 3 miliardi di dollari (in valori costanti), l’Italia figura all’ottavo posto nell’export militare mondiale preceduta da Stati Uniti, Russia, Germania, Francia, Cina, Regno Unito e Spagna. Ma va ricordato che le cifre riportate dal SIPRI sono molto inferiori rispetto a quelle presentate nei rapporti ufficiali dei singoli paesi in quanto si riferiscono principalmente ai “grandi sistemi d’arma” ad uso militare (aerei, elicotteri, navi, cannoni, missili, blindati ecc). Le cifre, inoltre, cercano di misurare “il trend del volume dei trasferimenti” più che il “valore del commercio internazionale”: da qui le differenze delle cifre rispetto ai rapporti nazionali. Per fare un esempio che riguarda l’Italia: mentre il SIPRI riporta per il 2012 trasferimenti di sistemi militari per circa 850 milioni di dollari, la Relazione ufficiale del Governo (che considera tutte le esportazioni militari effettuate) riporta per lo stesso anno consegne effettive di armamenti dal nostro paese per quasi 3 miliardi di euro.
Al di là delle cifre, va ricordato – come documenta sempre il SIPRI – che Finmeccanica, cioè la principale azienda italiana produttrice di sistemi miliari, da diversi anni figura all’ottavo posto al mondo tra le industrie esportatrici di armamenti. E sebbene l’azienda vanti di essere stata ammessa, per la quarta volta consecutiva, ai Dow Jones Sustainability Indexes (DJSI), il suo effettivo impegno nel campo della trasparenza – come Unimondo ha ripetutamente segnalato (si veda anche qui) – solleva più di qualche interrogativo, per non parlare delle indagini giudiziarie che negli ultimi anni hanno toccato i suoi stessi vertici per vicende collegate a casi di corruzione.
 

Gli Stati Uniti firmano il Trattato

La buona notizia di Roma è rafforzata e moltiplicata da quella proveniente da New York: anche gli Stati Uniti hanno firmato il Trattato internazionale. La firma è stata apposta dal Segretario di Stato John Kerry, nell’ambito dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. La firma è il primo atto necessario e propedeutico per una successiva ratifica, ma – secondo i commentatori americani – il percorso per la ratifica della Casa Bianca non sarà facile considerata l’opposizone del Senato e le fortissime pressioni della National Rifle Association (NRA), considerata una delle più influenti lobby politiche degli Stati Uniti per la sua abilità nel distribuire grandi quantità di voti alle elezioni e di cui uno dei maggiori sponsor è la ditta Beretta USA.
La firma apposta ieri dagli Stati Uniti rappresenta un ulteriore passo da parte dell’amministrazione Obama e un’inversione rispetto alla posizione del suo predecessore, George W. Bush che aveva votato contro il Trattato. Con l’amministrazione Obama gli Stati Uniti avevano votato a favore del Trattato già all’Assemblea generale dell’aprile scorso (si vedano i voti qui in .pdf). La firma è stata accolta con entusiasmo da parte della campagna internazionale Control Arms. “Siamo molto lieti della firma da parte del Segretario di Stato, John Kerry. La firma degli Stati Uniti, che sono il principale esportatore mondiale di armamenti, è un importante passo che dimostra l’impegno degli Stati Uniti per prevenire atrocità di massa e per proteggere i civili dai conflitti armati” – ha commentato Raymond C. Offenheiser, presidente di Oxfam America tra i promotori della campagna Control Arms. Il trattato intende regolamentare il commercio di armi e chiede ai paesi esportatori di considerare seriamente la situazione dei diritti umani nei paesi destinatari prima di rifornirli di sistemi militari.
 

La ratifica dell’Italia: il forte impulso delle associazioni

Il voto favorevole e unanime sia alla Camera che al Senato italiano è un risultato ottenuto straordinariamente in poco tempo e con il concorso positivo di tutto il Parlamento e del Governo.Un successo sottolineato con soddisfazione dalle realtà associative che hanno promosso questo percorso di nuova legislazione internazionale, in particolare Rete Italiana per il Disarmo, Amnesty International e Oxfam Italia. “Quello di oggi è anche il successo diretto degli oltre 40mila volti raccolti in Italia a favore del Trattato nelle prime fasi della mobilitazione, quando solo le realtà della società civile internazionale credevano nella possibile realizzazione di questo passo.
Oxfam Italia esprime grande soddisfazione per la ratifica di questo trattato da parte dell’Italia. L’adozione del trattato è anche il frutto dell’impegno pluriennale di decine di migliaia di attivisti in tutto il mondo” – sottolinea Elisa Bacciotti, Direttrice del Dipartimento Campagne e Cittadinanza Attiva di Oxfam Italia.
“Dobbiamo considerare questo voto significativamente unanime e tutto il percorso del Trattato come un primo passo da completare – sottolinea Francesco Vignarca coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo – altrimenti si potrebbe trattare solo di una occasione persa. Senza una forte e chiara implementazione dei meccanismi di controllo ed un futuro miglioramento di alcuni standard nel testo del Trattato il rischio è quello che ci si trovi di fronte ad un dispositivo inefficace se non nelle buone intenzioni. Ma noi siamo fiduciosi”.
Gli esperti della campagna internazionale Control Arms ed anche diverse analisi della Rete Disarmo hanno già in passato sottolineato che il giudizio sul testo del Trattato non può essere completamente positivo poiché la sua adozione riguarda solo i principali sistemi d’arma più le armi leggere e di piccolo calibro prevalentemente ad uso militare. In particolare permangono solo una serie di limitate forme di controllo sulle munizioni e sulle componenti di armi, mentre restano escluse sia le armi da fuoco che non hanno un esclusivo uso militare sia i trasferimenti di armi all’interno di accordi governativi e programmi di assistenza e cooperazione militari.
“La nostra speranza ora è riposta nella buona volontà del nostro Governo (dimostrata con la veloce Ratifica) nel farsi promotore a livello internazionale di percorsi di miglioramento futuro del testo e di soprattutto di organizzazione
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F-35, affare di Stato

L’F-35, il caccia supertecnologico da combattimento concepito con il suo potenziale altamente offensivo per le moderne operazioni militari, è l’aereo più stravagante del mondo. S’alza in volo e perde pezzi, vede un fulmine e gli s’incenerisce l’ala, un temporale potrebbe fargli esplodere il serbatoio, il casco del pilota è difettoso, le turbine si crepano, il software zoppica, le armi non si parlano, il freddo gl’impalla il dispositivo di carica delle batterie, tanto da costringere i tecnici a tenere l’aereo negli hangar di notte, in duello il pilota non riuscirebbe a vedere chi gli vola dietro, con il rischio d’essere abbattuto.
viaPerlapace.

L'Italia spende meno per le armi, ma le esporta di più

In particolare verso l’Oman, che il 18 aprile scorso ha siglato un contratto con l’Alenia Aermacchi, società del gruppo Finmeccanica, per la fornitura dei componenti, sistemi e servizi di responsabilità per 12 Eurofighter Typhoon, frutto del principale programma di collaborazione europeo nel campo della Difesa da 160 mila ore di volo. L’ordine, che era stato avanzato dallo Stato penisola arabica nel dicembre del 2012 per un valore complessivo di circa 170 milioni di euro, prevede un pacchetto di supporto logistico iniziale di cinque anni richiesto dalla Royal Air Force of Oman e la consegna dei primi Eurofighter alla forza aerea omanita nel 2017. Le componenti di responsabilità Alenia, che saranno realizzate a partire dal 2014, rappresentano il 719mo Eurofighter commissionato dalla società italiana dalle forze aeree di Spagna Italia, Regno Unito, Germania, Arabia Saudita, Austria e appunto Oman. Tuttavia, nelle statistiche, l’Italia figura l’unico paese virtuoso tra i partner del G8 e del G20 a registrare una flessione delle spese militari per gli armamenti, determinandone un crollo del 19% nel periodo 2003-2012 e del -5,2% su base annua nel 2012. Siamo un paese esportatore. Ovvero le armi le fabbrichiamo noi. E non c’è da essere ottimisti se l’Italia nel 2012 ha destinato alle spese militari l’1,7% del Pil, il 2,32% in meno rispetto all’anno precedente.
viaUn mondo in guerra. Per il Sipri è iniziato il “ricollocamento” delle armi.

Trattato sulle armi: primo passo positivo

L’organismo di coordinamento delle associazioni che operano nel mondo del disarmo è stato protagonista fin dal 2003 della campagna Control Arms, che ieri ha ottenuto questo storico risultato. E’ positivo che finalmente si avranno regole comuni sui trasferimenti di armi, ma alcune ombre sul testo approvato permangono e andranno risolte e migliorate in futuro
L’approvazione avvenuta ieri in sede ONU del testo di Trattato sul commercio di armamenti è un passo sicuramente importante per tutte quelle associazioni a livello internazionale, tra cui la Rete Italiana per il Disarmo, che da dieci anni si battono regolamentare i trasferimenti di armamenti. Non è un caso che solo dopo un percorso lungo, diversi momenti di discussione e anni dubbi, in particolare da parte degli Stati Uniti, si sia arrivati a questa approvazione solamente grazie a una forte pressione internazionale.
Certamente il Trattato approvato non copre tutte le problematiche che esistono nel commercio di armi, ma già il fatto di aver previsto delle regole mondiali comuni in un commercio che oggi è regolamentato meno di quello delle banane è importante. La Rete Italiana per il Disarmo plaude quindi al coraggio e dalla determinazione di molti Stati che, nonostante il blocco dell’approvazione per consenso della scorsa settimana effettuato da Iran, Corea del Nord e Siria, hanno chiesto ottenuto che il Trattato e il suo testo venissero subito approvati a maggioranza dall’assemblea Generale delle Nazioni Unite. “Sicuramente non ci fermeremo qui, e continueremo a lavorare affinché questa sia solo il primo passo di un cammino ancora più forte di regolamentazione degli armamenti – afferma Francesco Vignarca coordinatore di Rete Disarmo – per cui il nostro lavoro continuerà sia livello italiano che internazionale. Il trattato entrerà in vigore solo dopo la ratifica dei primi 50 paesi, e sarebbe un segno molto importante e forte poter annoverare l’Italia tra i primi paesi a portarne a termine la ratifica, anche per valorizzare la grande tradizione di trasparenza su questi aspetti che il nostro paese possiede”
viaPerlapace.

I produttori europei di armi si fondono: e Finmeccanica?

I due maggiori produttori europei di armamenti potrebbero arrivare a una fusione. Eads – un consorzio tra Germania, Francia, Regno Unito e Spagna – è un protagonista dell’aviazione civile con Airbus, ma ha grandi attività nell’aeronautica ed elettronica militare. Bae (un tempo British Aerospace) opera nel settore militare e spaziale ed è il secondo venditore d’armamenti nel mondo, dopo la Lockheed Martin e prima della Boeing.

Il nuovo gruppo avrebbe, sommando i dati per il 2011 delle due entità, un fatturato di circa 70 miliardi di euro, mentre quello della Boeing si aggira sui 50 miliardi. Tale cifra d’affari si suddividerebbe per un po’ meno del 40% nel settore dell’aviazione civile, per un po’ più del 40% in quello militare e per il resto nei business degli elicotteri e dello spazio; circa il 40% del fatturato si collocherebbe in Europa, un 20% ciascuno in Asia/Pacifico e negli Stati Uniti (si ridurrebbe così la forte dipendenza di BAE da tale area) e il 20% nel resto del mondo. Il nuovo gruppo occuperebbe più di 220.000 persone.
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I problemi per Finmeccanica
Il progetto di fusione europea tocca da vicino Finmeccanica, il “monopolista delle armi” di casa nostra. La società si è concentrata nel business militare, abbandonando altre produzioni, anche quando si trattava di attività di alto profilo, come nel caso della STMicroelectronics. Per diversi anni i ricchi contratti militari hanno crescere le dimensioni del gruppo (il fatturato è passato dai 6,8 miliardi di euro del 2001 ai 18,7 miliardi del 2010), c’è stata l’acquisizione di importanti società in Gran Bretagna e Stati Uniti, si è accresciuto il livello delle sue tecnologie – Finmeccanica è l’azienda che spende di più in assoluto per ricerca e sviluppo nel nostro paese -, sono aumentati i suoi profitti.
Ma questa strategia ora subisce grossi contraccolpi. La crisi ridimensiona la spesa militare sui due lati dell’Atlantico. Una serie di scandali scoppiati in Italia e in altri paesi hanno mostrato il volto più oscuro del gruppo. Così il fatturato e gli ordini già nel 2011 si sono ridimensionati e la società ha dovuto scontare nello stesso anno una grossa perdita di bilancio. Ora la progettata fusione tra i due principali gruppi militari europei la potrebbe destabilizzare ulteriormente, lasciandola ai margini del mercato su cui ha investito tutto. Si pagano così errori di politica industriale di lunga data. Per anni Finmeccanica e l’Italia si sono rifiutati di entrare nella compagine Eads-Airbus, nonostante le offerte ricevute, preferendo diventare un subcontractor delle aziende statunitensi.
Alla società italiana resterebbe l’opportunità di collegarsi alle francesi Thales e/o Safran, anch’esse a rischio di marginalizzazione. Ma le due società, che sono un po’ più piccole come dimensioni rispetto a Finmeccanica, operano sostanzialmente negli stessi business dell’azienda italiana e non apporterebbero quella diversificazione di produzioni che è al cuore della scelta di fusione tra Eads e Bae. Una fusione franco-italiana potrebbe comunque portare a una compagine imprenditoriale più forte, ma potrebbe avere come conseguenza rilevanti riduzioni dell’occupazione.
Le nuove difficoltà di Finmeccanica si aggiungono, in questi mesi, a una lunga serie di notizie negative per le grandi imprese italiane: l’aggravarsi in questi giorni della crisi Fiat, la debolezza strategica di Mediobanca, le faide interne al gruppo Pirelli, i ben noti problemi dell’Ilva, le difficoltà del Monte dei Paschi di Siena, l’aggravarsi della situazione dell’Alitalia. Il sistema nazionale delle grandi imprese rischia di subire un colpo forse mortale.
viaEads, Bae, la fusione delle armi | Sbilanciamoci! – La Campagna.

Italia: il Governo tace sull’export di armi mentre cambia la legge

“Nonostante la legge 185/90 – quella che regola l’export di armi – lo preveda espressamente, il governo di Mario Monti non ha ancora reso noti i dati relativi alle esportazioni di armi italiane nel mondo nell’anno 2011.

 

Avrebbe dovuto farlo entro il 31 marzo – così dispone la normativa – ma ad oggi (6 aprile, mentre scriviamo) non c’è traccia della Relazione completa, che in realtà da qualche anno a questa parte viene trasmessa al Parlamento con uno-due mesi di ritardo; e nemmeno del sintetico Rapporto che invece, anche durante i governi Berlusconi, veniva pubblicato nei tempi previsti” – riporta il sito dell’agenzia Adista in un articolo a firma di Luca Kocci.

 

“Il governo dei tecnici non è in grado, o non vuole, fornire una relazione tecnica nei tempi tecnici di legge” – commenta il giornalista di Adista. “Che i ministri competenti in materia di esportazioni di armamenti siano alle prese con altre questioni è cosa nota: il ministro della Difesa, ammiraglio Giampaolo Di Paola, è indaffarato a cercare di spiegare al Parlamento le ragioni dell’acquisto di 90 cacciabombardieri d’attacco F-35 per una spesa complessiva che non ha mai notificato, ma che si aggira tra i 13 e i 15 miliardi di euro”.

Contro l’attacco al sistema di controllo sulle armi

Come già successo nello scorso luglio (quando un emendamento simile è stato inserito nella discussione sulla legge di rifinanziamento delle missioni militari) il Governo con un colpo di coda ha messo nel maxi-emendamento alla Legge di Stabilità una norma per abrogare il Catalogo Nazionale delle Armi Comuni da sparo. Un ennesimo pezzo del tentativo di smantellare, come altri paralleli e più importanti, la struttura di controllo sulla diffusione (interna ed esterna) delle armi. Tanto che nella discussione di luglio in Senato sulla stessa materia il senatore Casson (ex-magistrato) aveva citato i fatti di sangue di Oslo come ultimo approdo della spinta in corso verso una deregolamentazione senza nuove forme di controllo, con favorita la criminalità organizzata.