Cosa dice il nuovo rapporto sul clima

l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), il gruppo intergovernativo che si occupa dello studio del cambiamento climatico, ha diffuso la prima parte del suo nuovo e atteso rapporto sul clima, concludendo che il riscaldamento globale è principalmente causato dalle attività dell’uomo. Negli ultimi giorni si era discusso molto sui dati che sarebbero stati comunicati dall’IPCC, spesso criticato dagli scettici sulle teorie sul cambiamento climatico. Le informazioni contenute nel rapporto danno nuovi importanti elementi per comprendere che cosa è successo e che cosa potrà succedere al clima della Terra.

Gli esperti dell’IPCC dicono di essere sicuri “al 95 per cento” che le attività umane siano la “causa dominante” nei processi di riscaldamento del pianeta e che lo siano state almeno a partire dagli anni Cinquanta del Novecento (nel 1995 il livello di certezza era pari al 50 per cento, nel 2011 al 66 per cento, e nel rapporto più recente del 2007 al 90 per cento). Nella versione riassunta indirizzata ai governi del rapporto, che sarà diffuso integralmente nei prossimi giorni, si spiega che il riscaldamento dell’aria, degli oceani e del suolo è “inequivocabile” e che il rallentamento del fenomeno negli ultimi 15 anni non dimostra molto, perché si tratta di un periodo troppo breve per valutare l’andamento nel lungo termine delle temperature.
Il rapporto dell’IPCC spiega che se si continueranno a emettere grandi quantità di gas serra, come l’anidride carbonica prodotta dalla combustione dei combustibili fossili (carbone, derivati del petrolio, ecc), si potranno verificare nuovi cambiamenti nel sistema climatico con gravi conseguenze per gli ecosistemi. Per evitare questi cambiamenti l’IPCC raccomanda l’adozione di nuove soluzioni che portino a una “riduzione sostanziale e cospicua delle emissioni di gas serra”.
viaCosa dice il nuovo rapporto sul clima | Il Post.
Per leggere il documento riservato ai politici tradotto in italiano clicca qui:  http://transitionitalia.wordpress.com/2013/09/27/ipcc-ar5-lultima-sveglia/
 

Organizing, un sindacato comunitario

Un nuovo modo di pensare al sindacato come organizzazione comunitaria dal basso:
Arriva dagli Usa, la Community Organizing che vuole rivitalizzare il sindacato come grande organizzazione sociale. Intervista a Valery Alzaga, attivista e dirigente di Seiu
Organizzare i lavoratori non organizzati. Che sono sempre di più, complici un mercato del lavoro stravolto da una feroce competizione globale e un pensiero molto diffuso che guarda con scetticismo a tutte le forme di rappresentanza collettiva, e dunque ai sindacati. Questo processo, che riguarda ormai tutti i paesi dell’occidente sviluppato, ha investito negli anni 90 per primi gli Stati Uniti, producendo un tracollo del tasso di sindacalizzazione nel paese (ridotto ormai al 12 per cento). A questo trend, però, i sindacati americani hanno saputo reagire innovando tecniche e strategie di proselitismo; non limitandosi dunque a una sterile protesta contro la diffusa ostilità e incomprensione, ma anzi partendo proprio da questo “dato” per rinnovarsi in profondità e lanciare un’idea di Community Organizing che, in estrema sintesi, rivitalizza il sindacato come grande organizzazione sociale, capace di operare e influire anche fuori dai luoghi di lavoro tradizionali, coinvolgendo comunità, reti sociali e producendo un nuovo, diretto, protagonismo dei lavoratori. Di questi temi, che stanno suscitando grande interesse in Europa e in Italia, abbiamo discusso con Valery Alzaga, attivista e dirigente di Seiu (il sindacato americano dei lavoratori dei servizi). “In tutto il mondo i sindacati stanno affrontando grandi difficoltà. Sfortunatamente, però, solo poche organizzazioni sono state capaci di ‘adattarsi’ ai cambiamenti epocali indotti dal neoliberismo nei settori tradizionali e non: outsourcing, subappalti, flessibilizzazione estrema del lavoro, contratti a brevissimo termine”.
Continua a leggere: Organizing, un sindacato comunitario / alter / Sezioni / Home – Sbilanciamoci.

Statfrica: gli open data sull'Africa

Un portale che presenta statistiche, ricerche, infografiche sull’Africa. E’ possibile abbonarsi gratuitamente o a pagamento, se si desidera ottenere i dati in formato grezzo per ulteriori analisi.

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Over the years we’ve collected more data about Africa than we can hope to ever use as one company. However, we know from meeting many other companies, NGOs, schools, investors and others that there is a huge amount of demand for all things Africa. The problem most of these groups have is not that they can’t find information, but that things are changing so rapidly, they can’t find up-to-date information. Usually articles are three to five years old. Its also hard to find information on topics that is immediately applicable like information on contemporary African social entrepreneurs, consumer behavior, and research around trends that haven’t quite caught the attention of corporates global research firms.
With Statfrica we’re making of our incredible amounts of research on these subjects available to all, for free!
 

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Fracking, l’Italia dice ufficialmente no

Rifiuto della Commissione ambiente della camera di ogni attività legata al contestatissimo fracking: ecco i dettagli.

Filiberto Zaratti, di Sinistra ecologia e libertà, spiega: «La Commissione Ambiente della Camera ha approvato la risoluzione che esclude da subito ogni attività legata al fracking, cioè l’estrazione di idrocarburi attraverso la fratturazione idraulica del sottosuolo. La risoluzione, di cui sono il primo firmatario e che è stata sottoscritta da tutti i gruppi blocca quella che può essere una scelta veramente pericolosa; contaminazione dei suoli e delle falde acquifere, deturpamento del paesaggio, rischio idrogeologico e sismico: sono questi i principali problemi posti dall’estrazione di shale gas. Oggi il Parlamento, con questo atto, ha ribadito che prima di avventurarsi nello sfruttamento di questa fonte energetica è quanto mai necessario un approfondimento circa i rischi ambientali. L’Italia, con questa decisione, si allinea ad altri partner europei, che sulla base del principio di precauzione hanno già vietato queste tecniche di estrazione, come ha fatto la Francia nel 2011. Grazie all’approvazione della risoluzione e al pronunciamento del Governo, che si è espresso in modo chiaro sulla scelta di bloccare lo shale gas in Italia, oggi l’ambiente e la sicurezza dei cittadini fanno un grande passo avanti».
viaFracking, l’Italia dice ufficialmente no – Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

I MIGRANTI E LA COPPA DEL MONDO, VITE PERDUTE PER STADI E ALBERGHI

I lavori per ospitare la coppa del Mondo in Qatar nel 2022 costeranno la vita a circa 4000 lavoratori migranti: è la stima scioccante diffusa dalla Confederazione internazionale dei sindacati dei lavoratori (Ituc), e basata su oltre due anni di osservazione nelle imprese del settore edile dell’emirato.
Secondo l’Ituc, “circa mezzo milione di migranti – in provenienza principalmente da Nepal, India e Sri Lanka – sbarcheranno nel paese per completare i lavori di stadi, hotel e infrastrutture prima del calcio d’avvio della competizione”. E se il governo di Doha non provvederà ad approvare riforme profonde nel settore edilizio “il numero di morti sul lavoro rischia di raggiungere quota 600 all’anno, circa una dozzina di vittime alla settimana”.
La Confederazione punta l’accento su i migranti nepalesi e Indiani, che costituiscono il nocciolo duro dell’esercito di oltre un milione e 200.000 lavoratori stranieri residenti nel piccolo, ricchissimo, paese del Golfo.
In una recente inchiesta, il quotidiano inglese ‘The Guardian’ aveva rivelato che oltre una quarantina di migranti nepalesi sono morti in Qatar tra il 4 giugno e l’8 agosto di quest’anno, in parte per attacchi di cuore e in altri casi per incidenti sul lavoro. I migranti hanno raccontato le condizioni insopportabili di lavoro, a temperature che superano i 50° all’ombra, le proibizioni imposte per andare al bagno o bere acqua fresca e altre vessazioni a cui erano sottoposti.
Una situazione che i governi asiatici da cui i migranti provengono conoscono fin troppo bene e per cui più volte si sono lamentati anche a livello ufficiale con le autorità di Doha.
“La valutazione basata sui tassi di mortalità dei lavoratori migranti in Qatar mostra che sta morendo in media almeno un lavoratore al giorno. In assenza di misure concrete per affrontare la situazione e in vista di un aumento del 50% della forza lavoro migrante, si assisterà in contemporanea ad un aumento dei decessi” riferiscono gli esperti.
Si stima che il Qatar, il paese più ricco del mondo per reddito pro capite, stia spendendo l’equivalente di cento miliardi di euro per la costruzione di infrastrutture di trasporti, alberghi, stadi e altre strutture in vista della Coppa del Mondo di calcio del 2022.
viaI MIGRANTI E LA COPPA DEL MONDO, VITE PERDUTE PER STADI E ALBERGHI | Misna – Missionary International Service News Agency.

Commercio d’armi: l’Italia ratifica il Trattato Onu, storica firma degli Stati Uniti

Mercoledì 25 settembre 2013: l’Italia ratifica il trattato Onu sul commercio di armi. Siamo il quinto paese al mondo a firmarlo, e tra i primi dieci produttori di armi. L’articolo di Unimondo:
Con il voto favorevole unanime di ieri al Senato che ha fatto seguito a quello di due settimane fa alla Camera, l’Italia si appresta ad essere il quinto paese al mondo e il primo dell’Unione Europea che ratifica il Trattato internazionale sul commercio di armi (Arms Trade Treaty – qui il testo in inglese in .pdf). Soddisfazione delle realtà della società civile italiane che hanno promosso la mobilitazione internazionale Control Arms. “E’ un passo importante verso l’entrata in vigore del Trattato – che necessita 50 ratifiche – soprattutto per la rilevanza del nostro Paese nel commercio d’armamenti”, riporta il comunicato di Rete Disarmo. “E’ fondamentale che si colga questa ratifica e l’entrata in vigore del Trattato come primo passo verso un sempre maggiore controllo del commercio di armi. E’ importante che la nostra avanzata legislazione sull’export di armi sia rilanciata come esperienza positiva e utile nelle fasi di implementazione del Trattato dei prossimi anni” – evidenzia la nota.
 

Italia, ottavo esportatore mondiale di armi

Il ruolo dell’Italia nel commercio mondiale di armamenti non è certo paragonabile a quello di Stati Uniti e Russia, ma il nostro paese da diversi anni si attesta tra i primi dieci maggiori esportatori internazionali di sistemi militari. Lo si apprende analizzando attentamente i dati presenti nell’Arms Transfers Database, il database aggiornato annualmente dallo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), uno deglii istituti più autorevoli del settore.
Nel quinquennio dal 2008 al 2012 con oltre 3 miliardi di dollari (in valori costanti), l’Italia figura all’ottavo posto nell’export militare mondiale preceduta da Stati Uniti, Russia, Germania, Francia, Cina, Regno Unito e Spagna. Ma va ricordato che le cifre riportate dal SIPRI sono molto inferiori rispetto a quelle presentate nei rapporti ufficiali dei singoli paesi in quanto si riferiscono principalmente ai “grandi sistemi d’arma” ad uso militare (aerei, elicotteri, navi, cannoni, missili, blindati ecc). Le cifre, inoltre, cercano di misurare “il trend del volume dei trasferimenti” più che il “valore del commercio internazionale”: da qui le differenze delle cifre rispetto ai rapporti nazionali. Per fare un esempio che riguarda l’Italia: mentre il SIPRI riporta per il 2012 trasferimenti di sistemi militari per circa 850 milioni di dollari, la Relazione ufficiale del Governo (che considera tutte le esportazioni militari effettuate) riporta per lo stesso anno consegne effettive di armamenti dal nostro paese per quasi 3 miliardi di euro.
Al di là delle cifre, va ricordato – come documenta sempre il SIPRI – che Finmeccanica, cioè la principale azienda italiana produttrice di sistemi miliari, da diversi anni figura all’ottavo posto al mondo tra le industrie esportatrici di armamenti. E sebbene l’azienda vanti di essere stata ammessa, per la quarta volta consecutiva, ai Dow Jones Sustainability Indexes (DJSI), il suo effettivo impegno nel campo della trasparenza – come Unimondo ha ripetutamente segnalato (si veda anche qui) – solleva più di qualche interrogativo, per non parlare delle indagini giudiziarie che negli ultimi anni hanno toccato i suoi stessi vertici per vicende collegate a casi di corruzione.
 

Gli Stati Uniti firmano il Trattato

La buona notizia di Roma è rafforzata e moltiplicata da quella proveniente da New York: anche gli Stati Uniti hanno firmato il Trattato internazionale. La firma è stata apposta dal Segretario di Stato John Kerry, nell’ambito dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. La firma è il primo atto necessario e propedeutico per una successiva ratifica, ma – secondo i commentatori americani – il percorso per la ratifica della Casa Bianca non sarà facile considerata l’opposizone del Senato e le fortissime pressioni della National Rifle Association (NRA), considerata una delle più influenti lobby politiche degli Stati Uniti per la sua abilità nel distribuire grandi quantità di voti alle elezioni e di cui uno dei maggiori sponsor è la ditta Beretta USA.
La firma apposta ieri dagli Stati Uniti rappresenta un ulteriore passo da parte dell’amministrazione Obama e un’inversione rispetto alla posizione del suo predecessore, George W. Bush che aveva votato contro il Trattato. Con l’amministrazione Obama gli Stati Uniti avevano votato a favore del Trattato già all’Assemblea generale dell’aprile scorso (si vedano i voti qui in .pdf). La firma è stata accolta con entusiasmo da parte della campagna internazionale Control Arms. “Siamo molto lieti della firma da parte del Segretario di Stato, John Kerry. La firma degli Stati Uniti, che sono il principale esportatore mondiale di armamenti, è un importante passo che dimostra l’impegno degli Stati Uniti per prevenire atrocità di massa e per proteggere i civili dai conflitti armati” – ha commentato Raymond C. Offenheiser, presidente di Oxfam America tra i promotori della campagna Control Arms. Il trattato intende regolamentare il commercio di armi e chiede ai paesi esportatori di considerare seriamente la situazione dei diritti umani nei paesi destinatari prima di rifornirli di sistemi militari.
 

La ratifica dell’Italia: il forte impulso delle associazioni

Il voto favorevole e unanime sia alla Camera che al Senato italiano è un risultato ottenuto straordinariamente in poco tempo e con il concorso positivo di tutto il Parlamento e del Governo.Un successo sottolineato con soddisfazione dalle realtà associative che hanno promosso questo percorso di nuova legislazione internazionale, in particolare Rete Italiana per il Disarmo, Amnesty International e Oxfam Italia. “Quello di oggi è anche il successo diretto degli oltre 40mila volti raccolti in Italia a favore del Trattato nelle prime fasi della mobilitazione, quando solo le realtà della società civile internazionale credevano nella possibile realizzazione di questo passo.
Oxfam Italia esprime grande soddisfazione per la ratifica di questo trattato da parte dell’Italia. L’adozione del trattato è anche il frutto dell’impegno pluriennale di decine di migliaia di attivisti in tutto il mondo” – sottolinea Elisa Bacciotti, Direttrice del Dipartimento Campagne e Cittadinanza Attiva di Oxfam Italia.
“Dobbiamo considerare questo voto significativamente unanime e tutto il percorso del Trattato come un primo passo da completare – sottolinea Francesco Vignarca coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo – altrimenti si potrebbe trattare solo di una occasione persa. Senza una forte e chiara implementazione dei meccanismi di controllo ed un futuro miglioramento di alcuni standard nel testo del Trattato il rischio è quello che ci si trovi di fronte ad un dispositivo inefficace se non nelle buone intenzioni. Ma noi siamo fiduciosi”.
Gli esperti della campagna internazionale Control Arms ed anche diverse analisi della Rete Disarmo hanno già in passato sottolineato che il giudizio sul testo del Trattato non può essere completamente positivo poiché la sua adozione riguarda solo i principali sistemi d’arma più le armi leggere e di piccolo calibro prevalentemente ad uso militare. In particolare permangono solo una serie di limitate forme di controllo sulle munizioni e sulle componenti di armi, mentre restano escluse sia le armi da fuoco che non hanno un esclusivo uso militare sia i trasferimenti di armi all’interno di accordi governativi e programmi di assistenza e cooperazione militari.
“La nostra speranza ora è riposta nella buona volontà del nostro Governo (dimostrata con la veloce Ratifica) nel farsi promotore a livello internazionale di percorsi di miglioramento futuro del testo e di soprattutto di organizzazione
viaCommercio d’armi: l’Italia ratifica il Trattato Onu, storica firma degli Stati Uniti / Notizie / Home – Unimondo.

Come fanno i ricchi ad arricchirsi? Le tasse dell'1% più ricco

Sul sito di Oxfam Ricardo Fuentes Nieva dimostra come negli Stati Uniti e nel Regno Unito i più ricchi hanno pagato meno tasse negli ultimi trent’anni e come sia aumentata la loro capacità di regolare il livello di tasse da pagare.

Non si tratta dunque di duro lavoro o fortuna. Anche Ben Bernanke, capo della Federal Reserve degli Stati Uniti, nel recente discorso inaugurale all’Università di Princeton (una delle più esclusive del mondo, sia per la difficoltà che per i costi), ammette che la meritocrazia è un sistema in cui “le persone più fortunate per la salute e per il patrimonio genetico, per il supporto familiare, e forse per il reddito; per le opportunità di carriera ed educazione, e per molti altri motivi difficili da elencare, queste sono le persone che ottengono le ricompense maggiori”.

E’ una sfida alle élite di tutto il mondo, e a due credenze ben radicate: che se sei ricco è perché te lo meriti; e che in una società equa ognuno è responsabile soltanto per sé stesso.

Ma i dati dimostrano che in molti paesi dimostrano che i privilegiati pagano sempre meno tasse.

In un articolo (pubblicato recentemente in un fascicolo sulla concentrazione del reddito del Journal of Economic Perspectives), Alvaredo, Atkinson, Picketty e Saez
analizzano le tendenze di lungo periodo delle tasse per l’1% più ricco di USA, UK, Germania e Francia.

Qui il grafico:

E va di pari passo l’aumento della quota di ricchezza posseduta. Ecco un altro grafico con un dato sull’Italia:

Il circolo che si autoalimenta è questo: più diventano ricchi, meglio riescono a influenzare le leggi sulla tassazione e ad aumentare quindi la propria ricchezza.

Come possiamo bilanciare questa pressione sulla politica?

viaHow do the rich get richer? Tax rates and the top 1 percent | Oxfam GB | Policy & Practice.

Luigi Lama: i rapporti internazionali, il Marocco – video

Luigi Lama parla dell’importanza dei rapporti internazionali per il sindacato e del corso effettuato a Rabat, il 26 — 27 — 28 giugno 2013.
L’idea nasce da una riflessione partecipativa tra ISCOS Marche, Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna, FDT (Fédération Démocratique du Travail) e la UGTM (Union Générale des Travailleurs du Maroc) che ha fatto emergere la necessità di un confronto con la realtà italiana, sulla gestione e sulla comunicazione interna di un sindacato.
 

Italia e Spagna insieme: accordo ISCOS – ISCOD

La crisi economica è utilizzata dalle forze conservatrici per tagliare i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori.
Per contrastare queste politiche di distruzione delle basi della giustizia sociale e della democrazia, è necessario un impegno maggiore, a livello nazionale ed internazionale.
Perciò ISCOS, l’istituto sindacale di cooperazione internazionale italiano, e ISCOD, il suo omologo spagnolo, hanno deciso di rafforzare la collaborazione, con un maggiore scambio di informazioni ed esperienze, e presentando progetti in maniera congiunta.
Questi i contenuti dell’accordo firmato il 1 luglio 2013 da Renzo Bellini e Manuel Bonmatì, presidenti dei due istituti.
Qui il testo completo del documento:
[gview file=”http://iscosmarche.org/files/2013/07/DECLARACIÓN-ISCOS-ISCOD.pdf”]

La famiglia, il mio primo diritto: firma la petizione

New Delhi, 11 luglio 2013
campagna lavoro minorile iscos india 2013Nadeem ha solo 10 anni ed è apparso subito molto disorientato quando è stato salvato dalla fabbrica di elettrodomestici nella quale lavorava a Badali, in India. Lo spaesamento si è trasformato in dramma quando Nadeem non è stato in grado di dire ai suoi salvatori il nome dei genitori né del villaggio da cui proveniva.
In realtà, il piccolo Nadeem non ricordava nemmeno il viso dei propri genitori.
Chi l’ha portato fino a Bidali e dove sia la sua casa sono domande che non hanno ancora avuto risposta. La maggior parte dei bambini che, come Nadeem, sono recuperati dal lavoro, sono stati oggetto di traffico da Stati Indiani affetti dalla povertà.
Il lavoro dura dalle 8 di mattina fino anche a tarda notte, in stanze piccole e tetre, rese soffocanti dal caldo. Per la mancanza delle più elementari regole di sicurezza, i bambini sono esposti ad ambienti malsani ed a lavorazioni con materiali pericolosi per la salute. E questo per circa 1 euro la settimana.
Kailash Satyarthi, fondatore di BBA in India e promotore delle Global March Against Child Labour, ha detto: “Il mondo ha osservato la Giornata contro il Lavoro Minorile, mentre ancora 215 milioni di bambini sono sfruttati in varie forme di lavoro e di schiavitù e oltre 200 milioni di adulti sono disoccupati. Il lavoro minorile deve diventare un reato perseguibile e chi lo commette non deve poter essere rilasciato su cauzione. E’ una vergogna che nel 2010 e nel 2011 solo 1600 datori di lavoro siano stati arrestati per aver sfruttato il lavoro di bambini, a dispetto dell’ampiezza del fenomeno.
I consumatori dovrebbero boicottare i servizi ed i prodotti che utilizzano il lavoro dei minori. Nel periodo dal 2007 al 2011 sono state condotte più di 1 milone di ispezioni, ma poco meno di 18.000 violazioni sono state rilevate e solo poco più di 4.000 imprenditori sono stati arrestati per aver utilizzato lavoro minorile”.
Stefano Frasca (Cooperante in India di ISCOS) , sta portando avanti il progetto rivolto alla tutela dei diritti dei bambini, soprattutto ai minori oggetto di traffico per lavoro. L’azione si svolge in India, Afghanistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka).
Cari amici, un mese fa, il 12 giugno, si è celebrata in tutto il mondo la Giornata mondiale contro il lavoro minorile, quest’anno dedicata al tema del lavoro domestico. Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) il numero totale di minori lavoratori a livello mondiale è di 215 milioni. Di questi 10,5 milioni di bambini lavorano come “servi domestici”, in condizioni di schiavitù. Generalmente adibiti ai tradizionali impegni domestici come pulizia, cucina, giardinaggio, sono spesso occupati nella raccolta dell’acqua o nell’assistenza ad altri bambini e agli anziani. Più vulnerabili perché esposti a violenza fisica, psicologica e sessuale entro mura segrete, oltre a condizioni di lavoro estenuanti, sono spesso isolati dalle loro famiglie, privi di protezione e invisibili agli altri. Dipendendo totalmente dagli ordini dei datori di lavoro. Lo sfruttamento domestico minorile non è riconosciuto come un crimine né come una forma di lavoro in molti Paesi, ma come risorsa naturale a supporto della povertà del nucleo famigliare. ISCOS insieme ad altre ONG presenti in Sud-Asia sostiene la campagna “La famiglia, il mio primo diritto”, per chiedere ai Governi, alle organizzazioni internazionali ed alla società civile di sostenere e rafforzare la famiglia, perché siano garantiti i diritti fondamentali dei bambini. Questo significa l’effettiva applicazione delle leggi esistenti, la realizzazione di programmi a favore delle famiglie, la promozione di pratiche per migliorare il ruolo genitoriale e la soluzione dei problemi, nonché, dove necessario, strumenti di assistenza finanziaria ed economica. Un appello a tutelare i diritti dei bambini ad avere una famiglia e il diritto della famiglia ad essere sostenuta per svolgere al meglio il proprio compito.
Ti chiediamo di compiere due azioni: ·
firma la petizione su Change.org:  http://chn.ge/13jYypW
leggi la petizione in italiano
Cambia il finale alle storie di altri bambini come Nadeem! Grazie!