Nell’ambito del progetto “F.O.R.M.A. – Formazione Opportunità e Risorse per Migranti in Agricoltura”, ISCOS Marche e La Sorgente Coop. Sociale, realizzano un seminario formativo rivolto a cittadini e cittadine stranieri residenti nel territorio di Fermo. Il seminario si terrà domenica 20 marzo 2022, dalle ore 10 alle ore 13,00 presso la sala conferenze “Luigi Morresi” di Villa Nazareth – Contrada S. Salvatore, 6, Fermo (FM).
Con l’ausilio di schede e materiale informativo, i formatori della rete CISL Marche – Alfonso Cifani, Responsabile AST CISL Fermo e Gabriele Monaldi, Segretario FAI CISL Marche – presenteranno ai partecipanti le tematiche chiave riguardanti i diritti e i doveri di lavoratori e lavoratrici e le informazioni indispensabili per chi si avvicina al mondo del lavoro, prevedendo un focus specifico sull’impiego nel settore agricolo. Saranno trattati, ad esempio, temi riguardanti le tipologie dei contratti di lavoro, i doveri e le tutele derivanti dal rapporto di lavoro, i congedi e permessi, le indennità di disoccupazione ecc…
Durante la formazione, sarà presente anche un mediatore che si occuperà di tradurre e facilitare la comprensione dei contenuti.
L’evento si concluderà con un momento conviviale, un aperitivo offerto nei locali di Villa Nazareth.
Il progetto “F.O.R.M.A. – Formazione Opportunità e Risorse per Migranti in Agricoltura”, con Consorzio Kairòs capofila, è finanziato dal Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione 2014-2020 – Progetti per la Prevenzione e il Contrasto dello Sfruttamento Lavorativo in Agricoltura e nasce per contrastare il fenomeno del caporalato e promuovere l’inclusione socio-lavorativa dei cittadini stranieri presenti nei territori di Piemonte, Valle D’Aosta, Marche, Lombardia e Liguria. Tale finalità viene perseguita sia attraverso la costruzione di relazioni con i beneficiari, la loro formazione e informazione e la costruzione di percorsi di rafforzamento delle competenze e inserimento lavorativo, sia attraverso la sensibilizzazione delle comunità locali e degli stakeholder territoriali che, se resi maggiormente consapevoli e partecipi, possono attivarsi e mettere in campo risorse per buone pratiche sostenibili di medio-lungo periodo.
Sono 1.113 i casi confermati di coronavirus in Marocco alle ore 13:00 del 06 Aprile 2020. 71 i decessi, 76 i guariti, 3954 i casi esclusi in seguito a tampone.
La decisione del Governo marocchino di chiudere tutti gli aeroporti a partire dal 20 Marzo, dichiarando lo stato di urgenza sanitaria e applicando immediatamente le misure di contenimento, si è dimostrata la scelta più giusta, in un paese il cui sistema sanitario soffre di mancanze strutturali tali da non poter in alcun caso reggere la sfida di una epidemia delle stesse proporzioni di quella che sta colpendo Europa e Stati Uniti.
Al di là dei dati specifici (regolarmente aggiornati dalle autorità competenti per cui se interessati ad un monitoraggio in diretta vi consiglio di consultare il sito ufficiale del Ministero della Salute marocchino), vorrei usare questo spazio per una riflessione su alcuni elementi di criticità che la diffusione del COVID-19 sta portando alla luce, scoprendo vulnerabilità e elementi importanti di sottosviluppo di cui ancora soffre il paese, nonostante i grandi passi avanti degli ultimi anni. In primis, come già dicevamo, l’incapacità delle strutture ospedaliere pubbliche di rispondere al bisogno di salute dei cittadini, per l’obsolescenza dei locali e delle infrastrutture, per la diffusa mancanza di attrezzature e dispositivi di protezione, per la carenza di personale qualificato e infine per la frequente difficoltà di reperire medicinali che vadano oltre l’ordinario. Aggiungiamo a questo la mancanza di un welfare esteso e di meccanismi condivisi per la protezione dei cittadini e dei lavoratori, in un contesto di forti diseguaglianze interne, sia di tipo orizzontale (tra “ricchi” e “poveri”) che verticali (tra urbano e rurale, ma anche tra Nord e Sud del Paese).
Per quanto riguarda le misure prettamente sanitarie, 2 miliardi di dirhams (circa 190 milioni di euro) sono stati allocati dal Fondo Speciale per la lotta alla pandemia da Coronavirus creato da Sua Maestà il Re Mohammed VI per la riqualificazione del sistema sanitario pubblico, con l’identificazione di strutture su tutto il territorio nazionale specializzate per la presa in carico terapeutica di casi di COVID-19. Anche le strutture private sono state chiamate dal governo a contribuire in caso di bisogno, qualora la situazione per il pubblico dovesse in futuro divenire ingestibile. Importante è stato inoltre il coinvolgimento dell’esercito, degli ospedali e della medicina militare nella gestione delle operazioni di prevenzione e messa in quarantena ma anche di presa in carico e cura dei casi di contagio.
Nelle sue fasi iniziali, l’epidemia di COVID-19 in Marocco sembrava riguardare in via esclusiva Europei venuti in viaggio (per piacere o per lavoro) oppure marocchini “di ritorno”. La spirale si è poi ovviamente allargata, andando a toccare anche i residenti, che costituiscono ormai la maggioranza dei contagiati. Si consideri a riguardo che il modello abitativo preponderante in Marocco è quello della famiglia allargata, per cui si vive tutti insieme, condividendo spesso spazi anche piccoli, laddove ognuno porta il suo contributo all’economia familiare. In un paese in cui il numero di disoccupati ha raggiunto 1,2 milioni nel 2017, ovvero circa il 10,2% della popolazione attiva, l’accesso al lavoro non riesce di per sé a garantire un tenore di vita dignitoso (cfr Rapporto Bank Al Maghrib 2017). Un lavoratore dipendente su cinque non è retribuito e il potere contrattuale dei lavoratori sui datori di lavoro è quasi inesistente, come testimoniato anche dalla difficoltà dei sindacati locali ad “entrare” nel settore privato e soprattutto nelle piccole e medie realtà imprenditoriali, spesso informali. Quasi 8 dipendenti su 10 non hanno copertura medica e molti non sono affiliati a nessun sistema pensionistico, a fronte di un livello medio dei salari che rimane comunque basso tra i lavoratori del privato, circa 2.800 dirhams mensili (270 euro circa) nei settori dell’industria, del commercio e nelle professioni liberali e 1.813 dirhams mensili (circa 170 euro) nel settore agricolo. Per darvi un’idea delle disparità interne, la retribuzione di un dipendente pubblico è in media superiore dell’82% a quella di un lavoratore nel settore privato, senza considerare il fatto che il settore pubblico beneficia di un sistema pensionistico particolarmente generoso. Per farvi capire il potere di acquisto reale, un kg di carne di manzo costa in media intorno alla 10 euro, per le verdure comuni come patate, carote e pomodori siamo tra 60 centesimi e un euro al kg mentre la frutta è più cara, fino a 3-4 euro al kg. Insomma, non siamo ai livelli dell’Europa, ma neppure troppo lontano….
Il virus porta a galla le diseguaglianze rischiando di trasformare i diritti in privilegi e di far emergere conflitti sociali. L’isolamento impone una condotta rigida che non si adatta ai bisogni di chi è costretto a lavorare per mangiare ma che comunque va rispettata, al fine di limitare la diffusione dell’epidemia.
Tra i due mali, il male minore. Ma per quanto? Quanto può costare la pace sociale, in un paese che non può offrire a tutti i cittadini e tutte le cittadine le stesse garanzie e le stesse tutele?
Alla fine di marzo di quest’anno, il Comitato Economico di Vigilanza (CVE) ha presentato pubblicamente delle misure di sostegno provvisorie che saranno adottate a favore delle famiglie che operano nel settore informale e che sono direttamente colpite dalle restrizioni mirate a ridurre la diffusione del virus. Data la complessità e la portata del problema, il CVE ha deciso di procedere in due fasi. In un primo momento, a partire circa dal 06/04/2020, beneficeranno di aiuti economici i cittadini e le cittadine iscritti al Ramed, il Regime di Assistenza Medicaper le fasce di popolazione più vulnerabili (che contava più di 10.000 persone iscritte nel 2017). Il Fondo per il Coronavirus trasferirà a queste famiglie degli “aiuti di sussistenza” sulla base dei seguenti criteri: 800 dirhams (circa 75 euro) per famiglie di due persone o meno; 1.000 dirhams (circa 95 euro) per famiglie da tre a quattro persone; 1.200 dirhams (circa 110 euro) per famiglie di oltre quattro persone. Il sistema è stato pensato per essere accessibile anche da casa. Il capofamiglia dovrà inviare il numero della sua carta Ramed via SMS, dal suo cellulare, al numero 1212, disponibile anche per fornire assistenza alle famiglie e chiarire dubbi rispetto alla situazione. E’ attesa invece per le prossime settimane una piattaforma di deposito per le dichiarazioni di quanti non sono iscritti al Ramed, lavoratori del settore informale e quanti hanno perso il proprio reddito a causa dell’isolamento obbligatorio, che dovrebbero beneficiare di aiuti successivi. L’indennità forfettaria mensile netta prevista per legge per i lavoratori e le lavoratrici iscritti/e alla previdenza sociale corrisponderebbe invece a circa 2.000 dirhams al mese (circa 197 euro). Una situazione in evoluzione dunque, che se da una parte dimostra degli sforzi in atto per rispondere all’emergenza, dall’altra riesce a rassicurare solo in parte i dubbi e le angosce di ampi strati della popolazione privi di sicurezze per il futuro.
Chiudo queste due brevi pagine di riflessioni sulla diffusione del COVID-19 in Marocco con qualche riga su una zona di questo paese che mi è particolarmente cara essendo il territorio dove per primo ho vissuto, negli otto anni che sono trascorsi dal mio primo viaggio in questo paese. Si tratta della Regione del Draa-Tafilalet, a circa 200 km a Sud-Est di Marrakech, attraverso le montagne dell’Atlante verso il confine sud-orientale con l’Algeria. Un territorio essenzialmente rurale che negli ultimi 15 anni si è visto trasformare in destinazione di eccellenza per turisti da tutto il mondo desiderosi di spingersi fino alle prime dune del Sahara, per uno scatto tra le belle dune di Merzouga e Ch’gaga, magari da postare sul proprio profilo social. E’ il cosiddetto Grande Sud, una zona di frontiera in cui si mescolano Marocco Arabo e Marocco Africano, antica terra di carovane dove è ancora viva la cultura dei berberi, gli “uomini liberi” del deserto, che già aveva catturato l’immaginazione di tanti artisti e scrittori del ‘900 (si pensi al celebre “Tè del deserto” di Bowles). E’ difficile raccontare l’impatto del COVID-19 su questi territori, dove la gente ha risposto con compostezza e disciplina agli imperativi imposti dalla situazione, con la chiusura immediata di tutte le attività turistiche e ricettive (considerato comunque che la chiusura degli aeroporti e lo stop agli ingressi dall’Europa avevano già prodotto una sospensione forzata dal lavoro degli operatori turistici anche prima dell’obbligo imposto dalle autorità). Ma c’è preoccupazione nell’aria, soprattutto da parte delle generazioni più giovani.
Con i turisti se n’è andato anche il lavoro, lasciando l’evidenza di una economia locale fragile, ancora sconnessa e disarticolata, dove i saperi e gli equilibri tradizionali si sono persi nell’arco di meno di una generazione, lasciando un vuoto che se non colmato in fretta rischia di essere il motore di fenomeni di deculturazione nonché di emigrazione verso altre aree del Paese (Casablanca, Tangeri) o l’Europa.
Cosi, mentre crescono i timori per l’impatto del nuovo coronavirus sull’economia mondiale, questi territori alle porte del deserto, normalmente esclusi dal dibattito pubblico, diventano ai miei occhi il simbolo di quanto gli equilibri del mondo cosiddetto globalizzato siano interconnessi, di quanto “periferia” e “centro” siano luoghi simbolici che esistono solo nell’occhio di chi osserva e di come sia impossibile continuare a pensare di tutelare solo una parte senza prendersi cura del tutto.
Isabella Panfili, Rappresentante paese Iscos Marche in Marocco
Sono atterrati in Italia il 9 febbraio quattro delegati etiopi accolti da Iscos di Emilia Romagna e Iscos Marche nell’ambito del progetto “Lavoro dignitoso per le donne nella filiera del tessile in Etiopia – GABI”, finanziato dalla Regione Marche, Servizio Attività produttive, lavoro e istruzione.
La delegazione etiope accolta dallo staff di Iscos Emilia Romagna a Bologna
Saranno impegnati in 10 giorni di visite che li porteranno a conoscere aziende e federazioni Cisl dislocate tra Emilia Romagna, Lombardia, Veneto e Toscana per poi approdare anche in terra marchigiana.
Per l’occasione, il 19 febbraio 2020, presso la Sede Regionale della CISL, in Via
dell’Industria 17/A ad Ancona, l’Iscos
Marche, con la collaborazione di Cisl Marche e della Femca (Federazione
Energia, Moda, Chimica e Affini) Cisl Marche, organizza il seminario dal titolo
“Tessendo
diritti. Filiere produttive in
Etiopia: tra multinazionali e sindacati” con l’obiettivo di sensibilizzare
le Istituzioni e la società civile della Regione Marche sul tema del lavoro
dignitoso nelle filiere produttive globali,
ragionando insieme sull’implementazione di modelli organizzativi aziendali basati
sul rispetto dei diritti di lavoratori e lavoratrici, sull’attenzione alla
salute e sicurezza sul luogo di lavoro, e sulla parità di genere in ogni sua
forma.
Aprirà i lavori Vincenzo Russo, Presidente di Iscos Cisl
e Direttore di Iscos Marche. Seguiranno gli interventi di Alessia Lo Turco, professore associato presso l’Università
Politecnica delle Marche, Piero Francia,
Segretario generale FEMCA Cisl Marche e,
a chiudere, l’intervento di Sauro Rossi,
Segretario generale Cisl Marche.
La presenza di Angesom Gebreyohannes Gembremedhine,
Segretario generale nazionale del settore tessile di CETU (Confederation of
Ethiopian Trade Union), Hunde Gudeta
Gellashe, Responsabile Dipartimento Formazione CETU, Birhan Woldehana Rahmeto, manager della Elico Awash Tannery
(azienda conciaria) e Mustafa Jemal
Shibeshi, manager della Kombolcha Textile (azienda tessile) arricchiranno
l’incontro con approfondimenti sulle condizioni di vita e di lavoro all’interno delle aziende del
settore tessile e conciario presenti nei Distretti Industriali dell’Etiopia e
sul ruolo del sindacato.
Qui è possibile visionare il programma completo (alcuni interventi sono ancora in attesa di conferma e potrebbero subire delle variazioni)
Si svolgerà dal 10 al 13 settembre 2019 a Villa Prelato di Fano (PU), con la formula inedita di Summer School residenziale, l’edizione 2019 dello Stage Giovani organizzato dalla Cisl Marche con la collaborazione di Cooperativa Generazioni (uno dei Gesti Concreti nati dal Progetto Policoro), l’Ufficio diocesano per i problemi sociali e il lavoro di Fano ed il Progetto Policoro Marche.
L’esperienza dello stage giovani, nato nei territori della Cisl marchigiana, più di 20 anni fa, come intuizione strategica per arricchire e contaminare la vita associativa attraverso il coinvolgimento delle generazioni più giovani e per incontrare in modo mirato potenziali nuovi sindacalisti. Oggi risulta addirittura una necessità irrinunciabile, visto l’irrompere sulla scena della questione allarmante della disoccupazione giovanile e l’ipotesi non più rinviabile di iniziare a praticare come sindacato l’azione di rappresentanza e l’esperienza associativa con, per e attraverso i giovani.
L’iniziativa è rivolta a giovani tra i 25 e i 35 anni che sono già venuti a contatto con la Cisl o che vengono da esperienze differenziate ma manifestino la disponibilità e la curiosità di conoscere la Cisl.
Diffusa l’indagine annuale dell’ITUC sulla violazione dei diritti sindacali
Saranno presentati oggi a Ginevra i risultati del Global Right Index stilato dalla Confederazione Internazionale dei Sindacati, una graduatoria dei 145 paesi esaminati sulla base di 97 indicatori che riguardano le violazioni, sia a livello legislativo che nella pratica, dei diritti fondamentali dei lavoratori, in particolare la libertà di associazione, il diritto alla contrattazione collettiva e il diritto di sciopero.
I 10 peggiori paesi per violazioni dei diritti dei lavoratori
Non ne emerge una bella immagine a livello globale:
In dieci paesi alcuni sindacalisti sono stati assassinati: Bangladesh, Brasile, Colombia, Guatemala, Honduras, Italia, Pakistan, Filippine, Turchia e Zimbabwe.
L’85% dei paesi ha violato il diritto di sciopero.
L’80% dei paesi nega la contrattazione collettiva di alcuni o tutti i lavoratori.
Il numero di paesi che impediscono ai lavoratori di costituire o di aderire a un sindacato è aumentato da 92 nel 2018 a 107 nel 2019.
Nel 72% dei paesi i lavoratori hanno un accesso limitato o nullo alla giustizia.
Il numero di paesi in cui i lavoratori sono arrestati e detenuti è aumentato da 59 nel 2018 a 64 nel 2019.
Più di 1/3 dei paesi esaminati negano o limitano la libertà di parola e libertà di riunione.
Le autorità hanno impedito la registrazione dei sindacati nel 59% dei paesi.
Solo insieme possiamo invertire queste tendenze e assicurare che i diritti di tutti i lavoratori siano rispettati, indipendentemente da dove vivono. Aiutaci a diffondere i risultati di questo rapporto!
Si è aperta lunedì la 108° Sessione della Conferenza Internazionale del Lavoro, il più alto organo decisionale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO l’acronimo inglese). Dal 10 al 21 giugno sono attesi a Ginevra circa 5.700 tra rappresentanti di governo (tra cui 45 capi di Stato), datori di lavoro e delegati dei lavoratori dei 187 Stati membri dell’ILO.
“I governi, i sindacati e i datori di lavoro devono collaborare per rendere più inclusive le economie e i mercati del lavoro. Tale dialogo sociale può contribuire a far funzionare la globalizzazione per tutti.”
– Stefan Löfven, Primo ministro svedese e presidente della Commissione mondiale sul futuro del lavoro
Si discuterà anche di violenza e molestie sul posto di lavoro, in vista dell’adozione di uno strumento internazionale per affrontare questa problematica che incide sulla salute, sicurezza e benessere dei lavoratori.
Il centenario si presenta come un’opportunità per riaffermare i principi e la mission dell’ILO, celebrare i risultati raggiunti, ma anche di impegni in vista del prossimo secolo di lavoro: al termine dei lavori dovrebbe essere sottoscritta una “Dichiarazione del Centenario” che stabilisca una strategia futura.
“C’è un cocktail di questioni che sta portando a una grande incertezza nel mondo del lavoro e che richiede risposte.”
Il sindacato, con l’insegnamento e l’impegno politico, era una delle strade che don Milani indicava per praticare l’amore e dare finalità alla vita. Molti allievi del priore di Barbiana hanno seguito questo invito, generazioni di sindacalisti hanno tratto e traggono ispirazione dalle parole e dai gesti del sacerdote fiorentino. Eppure il rapporto, intensissimo, tra don Milani, la sua scuola e il mondo del lavoro non è tra i più conosciuti.
E’ disponibile da alcuni giorni la seconda edizione del libro, a più voci, dal titolo “Quel filo teso tra Fiesole e Barbiana” a cura di Francesco Lauria con la prefazione di Annamaria Furlan e la postfazione di Marco Damilano. Il testo, pensato in ricordo di Michele Gesualdi, racconta di un filo intrecciato tra la collina del Monte Giovi e la scuola di formazione per sindacalisti Cisl che sorge non distante, tra Firenze e Fiesole. La nuova edizione, arricchita con ulteriori saggi e documenti, approfondisce in particolare lo scritto di don Milani L’obbedienza non è più una virtù e l’influenza del priore di Barbiana sui temi della nonviolenza e dell’obiezione di coscienza, sempre in rapporto con il mondo del lavoro.
Sul sito di Edizioni Lavoro è possibile acquistare la propria copia a un prezzo scontato.
Il volume include scritti di: Annamaria Furlan, Francesco Lauria, Giuseppe Gallo, Sandra Gesualdi, Bruno Manghi, Francesco Scrima, Luigi Lama, Piero Meucci, Flavia Milani Comparetti, Agostino Burberi, Francuccio Gesualdi, Paolo Landi, Maresco Ballini, Michele Gesualdi, Lauro Seriacopi, Franco Bentivogli, Emidio Pichelan, Maurizio Locatelli, Marco Damilano, Elio Pagani, don Lorenzo Milani.
Si è chiusa il 31 maggio la sesta edizione del Corso di formazione per attivisti promosso da Iscos e Anolf di Emilia Romagna, Lombardia, Marche e Piemonte. Tre giornate di formazione, informazione e confronto per interrogarsi sul ruolo del sindacato e sul lavoro che esso è chiamato a svolgere in un ottica di interdipendenza globale e alla luce dell’attuale internazionalizzazione del mercato del lavoro.
Quest’anno Ancona è stata la città ospite del corso: Iscos e Cisl Marche si sono occupati di fare gli onori di casa curando l’organizzazione.
Il corso rientrava inoltre tra le attività del progetto “Narrazioni positive della cooperazione: cittadini, società civile e decisori politici si attivano sui territori per costruire un nuovo dibattito pubblico sullo sviluppo sostenibile” (AID 011491) finanziato dall’Agenzia Italia per la Cooperazione allo Sviluppo, coordinato da ActionAid con il partenariato tra gli altri di Iscos nazionale e Marche Solidali.
Si sono alternati momenti di dibattito e scambio applicando l’analisi dei sistemi per interrogarsi sui punti di forza e di debolezza che influenzano la dimensione internazionale del sindacato. Per ognuno di essi sono state analizzate cause ed effetti, in un ottica circolare dove ad ogni azione corrisponde un effetto che però a sua volta genererà un feedback capace di innescare nuove azioni.
Dal tema delle migrazioni all’Agenda 2030 passando per l’Educazione alla cittadinanza globale e il commercio internazionale: diversi gli esperti che si sono alternati sul palco della sala Melpomene del Teatro delle Muse offrendo ricchi spunti di riflessione e approfondimento.
Sul nostro canale Youtube sono inoltre disponibili i primi due video con le presentazioni di Alessia Lo Turco e Giuditta Politi.
Alessia Lo Turco parla di migrazione e manifatturiero nelle Marche
Giuditta Politi parla di agricoltura sociale
Giuditta Politi
Gemma Arpaia
Gemma Arpaia e i Goal dell’Agenda 2030
Paola Berbeglia
ECG
Paola Berbeglia parla di ECG in Italia
Natalino Barbizzi parla di ECG nelle Marche
Progetti di cooperazione della Regione Marche
Natalino Barbizzi
Monica Di Sisto parla dei trattati del commercio internazionale
Monica Di Sisto
Temi rielaborati dai partecipanti al corso con l’intento di esplorare i legami con la realtà sindacale e ragionare sugli interventi che la Cisl e i suoi enti possono avviare per creare un cambiamento sociale sostenibile, sempre con lo sguardo alla dimensione internazionale. Per portare un sistema a una situazione più promettente, è necessario agire sui punti di leva, segmenti del sistema su cui si può agire e con cui interagire per ottenere il cambiamento desiderato. Nei mesi futuri si dovrà pertanto continuare a ragionare su quali parti del sistema, sia interno alla Cisl che esterno, è possibile agire per rispondere alla domande sollevate.
La giornata conclusiva ha visto la consueta tavola rotonda dei segretari generali della Cisl Emilia Romagna, Lombardia, Marche e Piemonte, aperta dagli interventi del presidente di Iscos nazionale, Giuseppe Farina e di Anolf, Mohamed Saady.
Prodotto del corso, presentato quale punto di avvio per il confronto e il dibattito, la mappa sulla dimensione internazionale della Cisl: qui è disponibile una presentazione online. Punto nodale le azioni che Cisl, Iscos e Anolf devono saper condurre insieme per il raggiungimento di obiettivi comuni.
“Lo sforzo per l’integrazione è una vocazione interna della Cisl, il peso del presente rischia di farci perdere la memoria del passato e il senso del possibile” ha affermato Sauro Rossi, segretario generale della Cisl Marche.
Come riportato nell’articolo curato da Cisl Lombardia, anche il segretario generale della Cisl Lombardia, Ugo Duci ha portato l’attenzione sul tema migratorio: “Se con Anolf ci occupiamo di assistenza, accoglienza e servizio ai migranti, con Iscos realizziamo la condizione di libertà per le persone di restare nel Paese dove nascono. Quello che fanno i nostri Iscos regionali è una goccia nel mare dei bisogni della cooperazione internazionale, ma è una goccia di grande valore di grande concretezza ed evidente efficacia”.
In vista della conferenza organizzativa della Cisl, Giorgio Graziani, segretario organizzativo confederale, ha riconfermato l’interesse della confederazione per l’attività dei suoi enti internazionali: “Con Iscos e Anolf non facciamo un servizio solo rivolto agli altri: alla base c’è una reciprocità meravigliosa. Attraverso i progetti e le attività in Italia e all’estero ci lasciamo contaminare positivamente, impariamo a metterci in discussione e a ripensarci. La Cisl vuole continuare ad essere testimone ed educatrice di una crescita dal basso che sia inclusiva, equosolidale e sostenibile”.
Dal 29 al 31 maggio 2019 si terrà il 6° corso attivisti regionali: tre giornate di incontri, dibattiti e proiezioni, promosse da ISCOS – ANOLF – Dipartimento internazionale regionali di Marche, Emilia Romagna, Lombardia e Piemonte.
Il corso ha l’obiettivo di fornire un quadro aggiornato sulle interdipendenze tra la dimensione nazionale, europea e internazionale del sindacato al fine di stimolare una riflessione su tale argomento e per offrire un contributo nel rilancio della strategia complessiva in vista dell’Assemblea organizzativa confederale CISL.
Quest’anno l’appuntamento è ad Ancona, in parte presso le sedi della CISL Marche e in parte presso il teatro delle Muse.
Vuoi saperne di più? SCARICA IL PROGRAMMA (provvisorio, alcuni interventi potrebbero subire variazioni)
Il corso è rivolto a: • operatori e responsabili Anolf, Iscos e del Dipartimento internazionale regionali • sindacalisti e operatori sindacali/responsabili delle attività internazionali di categorie e delle strutture territoriali • delegati/RSU • studenti universitari e giovani • attivisti del volontariato (lavoratori e pensionati) e di altre organizzazioni della società civile
La partecipazione prevede una quota di 25 €, per coprire le spese di vitto e pernottamento in camera doppia (e l’ingresso alla mostra di Bansky).
In caso di partecipazione parziale (senza pernottamenti o pasti) la quota verrà ridotta.
I costi di trasporto sono a carico dei partecipanti. Chiediamo di conservare comunque i biglietti ferroviari: a fine corso potremmo effettuare dei rimborsi parziali.
Quando?29, 30 e 31 maggio 2019
Dove?Ancona
Sede regionale CISL Marche, via dell’industria 17/A
Teatro delle Muse, piazza della Repubblica
Sede CISL, via Ragnini 4
Per iscriverti (anche solo a una parte del corso), compila il modulo online
Inizia con questo articolo un percorso dedicato agli strumenti connessi al riconoscimento delle competenze e all’inserimento lavorativo. Questo percorso fa parte del progetto Nuove Comunità: blockchain per il lavoro
Nel 2011 Mozilla, organizzazione nata con lo scopo di mantenere Internet una “risorsa aperta a accessibile”* e nota per il lancio del browser Firefox, ha avviato il progetto Open Badges con l’intento di sviluppare un nuovo modo di riconoscere l’apprendimento ovunque esso avvenga, all’interno o all’esterno di contesti di istruzione formale, in persona oppure online.
Ad oggi, gli Open Badges sono la più diffusa forma di digital credential, ovvero dichiarazioni digitali emesse da un soggetto accreditato, ad esempio un’istituzione o un’organizzazione, che, al termine di un percorso di formazione, riconosce determinate competenze ad una persona sulla base di propri criteri di valutazione. Come dimostrato dallo studioBlockchain in Educationdel Joint Research Center della Commissione europea, insieme alla blockchain, le digital credential “rappresentano l’opportunità di trasformare le competenze in una nuova forma di “moneta” come misura del capitale sociale e intellettuale” ** e stanno reinventando le modalità di riconoscimento dell’apprendimento oltre i formali sistemi di certificazione.
Storicamente i badge sono sorti come distintivi, “ovvero un simbolo o icona che identifica abilità, conoscenze, qualificazioni, o banalmente l’affiliazione istituzionale del portatore”, afferma Juliana E. Raffaghelli nel suo saggio “Nuove prospettive tecnologiche a supporto della valutazione per l’apprendimento permanente: il caso degli Open Digital Badge”. L’autrice mostra inoltre come il successo di tale strumento sia stato veicolato dai videogiochi, dove i giocatori sono motivati ad acquisirli per rappresentare il proprio livello di abilità: il forte impatto che la gamification ha avuto negli ultimi anni nei processi formativi ha portato l’uso dei badge anche in ambito aziendale e in contesti di apprendimento per guidare, dimostrare e motivare le attività dell’allievo o del lavoratore. Come afferma il sito openbadges.org “migliaia di organizzazioni in tutto il mondo già emettono Open Badges, dalle organizzazioni non-profit ai principali datori di lavoro fino agli istituti di istruzione a tutti i livelli”. Il sito www.badgetheworld.org cerca di documentare i numerosi progetti che sono in corso in tutto il mondo promuovendo il confronto tra coloro che ne sono coinvolti.
L’estensione dell’utilizzo della blockchain a tutte le nuove forme digitali di apprendimento formali e non formali, permetterà di registrare in modo sicuro e decentralizzato le digital credential acquisite e di realizzare un personal ledger formativo in cui custodire i risultati del Lifelong and Lifewide learning. In ambito aziendale, partendo dalle grandi aziende dotate di una corporate academy interna, la disponibilità di una blockchain delle competenze può finalmente tracciare i risultati della formazione e confrontare e selezionare i profili in modo veloce per programmare percorsi di crescita del personale.**
In sintesi, come funzionano?
Image CC BY-ND Bryan Mathers
Gli Open Badge comunicano competenze e risultati fornendo simboli visivi che contengono dati verificabili e prove di quanto acquisito e che possono essere condivisi sul web. Inoltre, consentono alle persone di portare quanto appreso con sé, ovunque vadano, costruendo un quadro ricco del proprio percorso di apprendimento continuo.
Un’organizzazione definisce un badge includendo
i criteri per la sua assegnazione
Il badge viene ottenuto dall’apprendente quale
riconoscimento delle proprie capacità o a testimonianza del raggiungimento di
un certo obiettivo.
I badge ottenuti possono essere archiviati all’interno di piattaforme digitali come ad esempio il Mozilla Backpack o Bestr (a cui dedicheremo un articolo prossimamente) con la possibilità di raccoglierli in collezioni, stabilire quali rendere pubbliche ed eventualmente condividere in rete o mostrare sui propri profili o blog (WordPress, Linkedin, etc), oppure essere inseriti in un e-portfolio, un curriculum vitae digitale in grado di mostrare il proprio percorso professionale, tramite link, testi video e altri elementi multimediali.
Strumenti
come gli Open Badge consentono di tracciare tutto il percorso formativo di un
individuo, valorizzando anche le esperienze informali o acquisite in contesti di
apprendimento non formali. Capacità ed esperienze individuali sono così messe
in evidenza e certificate offrendo, da un lato, nuovi strumenti per
la ricerca e selezione di personale e valore aggiunto a chi è alla ricerca di opportunità di lavoro, dall’altro.